Di nuovo sullo squilibrio competitivo tra vettori cinesi ed europei
Voli con la Cina, la ritirata delle compagnie europee: così Pechino ha conquistato il mercato
di Leonard Berberi
L’analisi del «Corriere»: nel 2024 l’offerta dei voli dei vettori cinesi è quasi quattro volte superiore a quella degli europei. Riduzioni e cancellazioni dopo il divieto di sorvolo della Russia e la concorrenza dei mediorientali
20 luglio 2024
Dopo un quarto di secolo di attività Virgin Atlantic, compagnia aerea britannica fondata da sir Richard Branson, lascerà in autunno la rotta Londra-Shanghai. La notizia, messa così, non è destinata a cambiare gli equilibri del trasporto aereo mondiale. Ma nella realtà conferma un trend ormai inerrastabile: le aviolinee europee volano sempre meno in Cina, il mercato destinato a dominare le classifiche nei prossimi anni. Nelle ultime settimane è uno stillicidio di riduzioni di offerta e di cancellazioni. E questo inizia a preoccupare pure i governi.
Il trend
La chiusura dello spazio aereo russo che costringe a rotte più lunghe e costose, le tariffe più basse dei vettori asiatici e la concorrenza delle rivali mediorientali spingono le compagnie europee a battere in ritirata sui voli tra il Vecchio Continente e la Cina. Dopo un lungo periodo di «equilibrio» oggi l’offerta di posti sui collegamenti diretti delle aviolinee di Pechino e dintorni è quasi quattro volte superiore a quella delle europee. È quanto emerge dall’analisi che il Corriere ha effettuati sui numeri forniti dalla piattaforma specializzata Cirium sulla connettività tra le due aree (inclusa Hong Kong).
I tagli
«Dopo un’attenta valutazione abbiamo preso la difficile decisione di sospendere i nostri servizi», conferma una nota di Virgin Atlantic che parla di come alcune «complessità significative su questa rotta hanno contribuito allo stop». Il portavoce non entra nel dettaglio, ma la ragione è una soltanto: non si può competere con i rivali cinesi. In parallelo British Airways ha deciso di dimezzare nella prossima stagione invernale i voli tra la capitale inglese e Hong Kong.
Il divieto di sorvolo della Russia
Dalla fine di febbraio 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, i cieli russi sono off limits per i vettori europei. Questo vuol dire che al posto della rotta più breve tra il nostro continente e la Cina — che di solito prevede il sorvolo della Siberia — gli aerei da allora sono costretti a fare giri più lunghi, anche di due ore, passando in particolare più a sud. Il divieto di sorvolo non vale però per i vettori cinesi che, al contrario, proseguono come prima, solcando i cieli russi. Questo si traduce anche in maggiori costi operativi per gli europei dovendo consumare più cherosene e non solo. Il volo Virgin da Shanghai a Londra, per esempio, impiega 14 ore e 20 minuti, quello operato dai cinesi meno di 12 ore.
I numeri
La programmazione delle compagnie del Vecchio Continente risulta più che dimezzata quest’anno, passando da circa 8 milioni di posti nel 2019 a 3,8 milioni, meno persino di quelli in vendita vent’anni fa (4,2 milioni). In parallelo si assiste alla galoppata delle aviolinee cinesi che non solo aumentano l’offerta rispetto al 2019 (da 12,4 a 13 milioni), ma quasi la triplicano in confronto al 2004. Questa evoluzione stravolge anche le quote di mercato che dopo un «equilibrio» dal 2019 ha registrato un calo significativo degli europei nel mercato cinese, accentuato dall’invasione dell’Ucraina.
I protagonisti
Nel 2024 i principali vettori tra le due aree sono Air China (con oltre 4,5 milioni di posti offerti), Cathay Pacific, basata a Hong Kong (oltre 2 milioni), China Eastern Airlines (poco meno di 2 milioni) e China Southern Airlines (1,5 milioni). Bisogna arrivare al sesto posto della graduatoria per trovare la prima realtà europea, Lufthansa, con poco più di 1 milione di posti. Rispetto al 2019, però, si nota il +14% di Air China, il +15% di China Eastern e il +18% di China Southern (e il +353% di Juneyao Air). Calano, sensibilmente, British Airways (-41%), Lufthansa e Lot (-44%), Air France (-46%), Finnair (-76%).
L’italiana che resiste
L’unica europea che, al momento, resiste, è l’italiana Neos (del gruppo Alpitour) con un calo di «appena» il 5%. «In Cina stiamo provando a tenere il punto, ma non è facile», ha detto di recente al Corriere l’amministratore delegato Carlo Stradiotti. «In Italia i vettori cinesi hanno 55 frequenze settimanali, mentre l’unica compagnia italiana verso la Cina, Neos, nel periodo di picco quest’anno ne avrà appena 2 settimanali. Siamo diventati il punto d’ingresso dei cinesi in Europa».
La richiesta dei vettori europei
Da tempo i vertici delle aerolinee del nostro continente chiedono ai propri governi di intervenire — lo ha fatto anche il patron di Virgin Atlantic, sir Richard Branson —, vietando i voli ai vettori cinesi che arrivano in Europa sorvolando la Russia. Ma soltanto questi giorni si registra la prima mossa in questo senso. Il governo austriaco ha deciso di non concedere a China Eastern Airlines i diritti di traffico per operare su Vienna parlando di «interessi economici» e del vantaggio competitivo del vettore cinese che può utilizzare lo spazio aereo russo al contrario di quelli occidentali.
«Non c’è sfida alla pari»
«Non stiamo gareggiando alla pari», ha detto di recente ai giornalisti Marjan Rintel, amministratrice delegata di Klm, il vettore olandese che fa parte del gruppo omonimo con Air France. «Per noi ci vogliono oltre due ore in più per un volo con la Cina, ulteriori quattro membri dell’equipaggio, e naturalmente più carburante, che oggi non è il più economico», ha proseguito. Una situazione, come l’ha definita lei stessa, «davvero frustrante» e «penso anche dannosa per le relazioni internazionali. È molto difficile operare con restrizioni che non valgono per gli altri».
Il ruolo delle mediorientali
A rendere ancora più complicata la situazione, per le società europee, è anche la guerra tariffaria che i vettori mediorientali stanno facendo, attirando sempre più clienti in transito sui loro hub come stanno facendo Turkish Airlines (Istanbul), Emirates (Dubai) e Qatar Airways (Doha). Non ha nemmeno aiutato — spiegano gli esperti — la lenta riapertura del resto dell’Asia dopo la pandemia.
lberberi@corriere.it
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