Il capo dei piloti tedeschi: «Bruxelles dica sì alle nozze Ita-Lufthansa per fermare le rivali extra Ue»
di Leonard Berberi
Il principale sindacato dei piloti tedeschi e uno dei più importanti d’Europa spinge perché la Commissione europea approvi il prima possibile le nozze tra Lufthansa e Ita Airways. Non solo perché la fusione porterebbe a maggiori benefici. Ma anche perché, da un punto di vista strategico, «arginerebbe il peso sempre più significativo delle compagnie aeree asiatiche e mediorientali», dice al Corriere della Sera Stefan Herth, presidente di Vereinigung Cockpit, realtà che rappresenta 9.600 tra comandanti, primi ufficiali e ingegneri dei vettori tedeschi, soprattutto del gruppo Lufthansa.
Avete scritto a Bruxelles, assieme ad altre sigle, per chiedere di approvare rapidamente la fusione tra Lufthansa e Ita Airways. Perché?
«Il mercato europeo delle compagnie aeree sta diventando sempre più competitivo e il consolidamento è in corso. Per affrontare la crescente forza delle compagnie aeree del Medio Oriente e dell’Asia, le compagnie aeree europee devono migliorare la propria forza e ciò significa essenzialmente crescita».
E quindi perché sostenete l’intesa tra i due vettori?
«Per due motivi. Il primo: in questo processo di consolidamento, siamo solidali con i nostri colleghi italiani. Il secondo: siamo convinti che per i piloti tedeschi un forte gruppo aereo intereuropeo offra le migliori opportunità di carriera e sicurezza sul lavoro».
Pensa che la decisione di Lufthansa di investire in Ita sia la mossa giusta?
«Le fusioni e le acquisizioni comportano sempre dei rischi. Ma al momento penso che questa sia la mossa giusta. Un’azienda in crescita è un’azienda più forte, il che significa migliori prospettive di lavoro. Anche i concorrenti di Lufthansa come Air France-Klm e Iag (con Iberia e British Airways) stanno facendo mosse simili».
Quale considera un aspetto positivo di questo accordo Ita-Lufthansa?
«Per le compagnie europee che operano a livello globale è importante diventare più forti di fronte alla concorrenza del Medio Oriente. La fusione Lufthansa-Ita è un passo contro il rischio di ingresso di compagnie di terzi Paesi».
E c’è un punto che merita una maggiore attenzione?
«Siamo qui per garantire i posti di lavoro dei nostri membri. E lotteremo per questo. Non sosterremo nulla che metta a rischio i nostri posti di lavoro. Ecco perché monitoriamo molto da vicino i passi di Lufthansa per assicurarci che non stiano abusando di Ita per eludere i nostri contratti collettivi di lavoro in Germania. Ma al momento, non vedo nulla del genere. Insomma: crescere collettivamente? Sì per favore! Farci concorrere tra di noi piloti? No grazie!».
Avete iniziato a immaginare sinergie future con i sindacati di Ita in caso di approvazione dell’Ue?
«Abbiamo rapporti stretti con i nostri colleghi italiani da molto tempo e lottiamo per la sicurezza dei voli e le buone condizioni di lavoro tramite la nostra organizzazione ombrello europea Eca. Questo lavoro certamente sarà intensificato e approfondito con gli italiani».
Come?
«Ad esempio con la collaborazione in materia di contratti collettivi di lavoro».
L’Antitrust Ue ha mandato l’accordo Ita-Lufthansa alla «fase 2»: approfondimento giustificato, secondo lei, o Bruxelles avrebbe dovuto autorizzare l’investimento già a gennaio?
«È a discrezione della Commissione decidere quanto approfondire. Tuttavia, suggerirei di concentrarsi maggiormente sulla questione della competitività delle aziende europee per salvaguardare i posti di lavoro nel continente. Come ho spiegato, anche altri gruppi aerei stanno acquisendo concorrenti, stanno crescendo e diventando più forti. Non vedo problemi alla concorrenza se Lufthansa acquista Ita. E ricordiamoci che il tempo è un fattore cruciale e che c’è molto in gioco: se la Commissione impiega troppo tempo potrebbe causare problemi gravi».
Sul fronte dei piloti, com’è cambiato il panorama in Europa dopo la pandemia?
«La regolamentazione europea rigorosa ha portato a una ripresa del traffico più lenta qui rispetto al resto del mondo. Purtroppo, le alte tasse e tariffe, così come la dura concorrenza dal Medio Oriente e dall’Asia, significano che molte compagnie sono tentate di tagliare i costi riducendo i salari o lo staff».
E questo a cosa porta?
«Nel segmento intraeuropeo c’è un numero crescente di impieghi atipici e di “wet lease” (il noleggio non solo dell’aereo, ma anche del personale di una società terza, ndr). È compito nostro, come sindacato, esercitare pressioni sulle aziende affinché mantengano condizioni di lavoro decenti e sicure in cabina. Allo stesso tempo, siamo in contatto con le autorità e i politici per introdurre una migliore regolamentazione, altrimenti ci saranno sempre falle da sfruttare nel complesso quadro regolamentare europeo».
C’è una carenza di piloti in Europa o i numeri sono sufficienti a sostenere i piani di crescita delle aviolinee?
«Stiamo notando che la carenza aumenta, in particolare tra le grandi compagnie. È una diretta conseguenza dei licenziamenti e della mancanza di formazione iniziale durante il Covid. Con i “baby boomer” che lasciano il mercato del lavoro, il problema aumenterà sensibilmente».
E cosa proponete?
«Da tempo chiediamo un potenziamento della formazione interna alle grandi compagnie. È l’unico modo per ottenere abbastanza piloti».
In Germania, le low cost non sono dominanti, altrove sì. Ciò fa di voi un’eccezione?
«Le compagnie a basso costo possono crescere nei mercati in cui non ci sono — o non c’erano — vettori tradizionali forti. Da questo punto di vista, la Germania non è stata un buon mercato per le low cost. Allo stesso tempo, però, tradizionalmente abbiamo forti sindacati in Germania e questo non è gradito alla maggior parte delle aviolinee a basso costo. Ma questo non significa che le pressioni non ci siano. Si presenta sotto forme diverse, come appunto i contratti di “wet lease” con aziende estere più economiche che spesso hanno condizioni di lavoro in cabina molto peggiori rispetto a quelle in Germania».
Le compagnie Usa hanno firmato accordi con i sindacati che prevedono aumenti salariali anche del 40%. In Europa gli aumenti non sono così sostanziali. Perché?
«Perché la carenza di piloti è molto più problematica negli Stati Uniti. E poi il mercato del lavoro e le regolamentazioni sono differenti dagli standard europei».
In che senso?
«Se non riesci a sostituire i piloti che lasciano la tua azienda, sei semplicemente costretto a pagare molto meglio il tuo personale per assicurarti che resti. Devi anche attrarrne di nuovi con salari più alti e migliori condizioni rispetto ai tuoi concorrenti. In Europa, la sicurezza del lavoro è molto più importante rispetto agli Stati Uniti. Qui, le aziende possono essere competitive sul mercato del lavoro offrendo maggiore sicurezza lavorativa ma pagando salari più bassi».
Quindi in Europa si è più tranquilli su quel fronte...
«Le aziende europee devono fare attenzione a minare i patti sociali consolidati. Se vediamo un’erosione della fiducia e del rispetto, e se i datori di lavoro mirano a una cultura di “assunzione e licenziamento” ispirata agli Stati Uniti, allora non potremmo che sfruttare anche i più lievi problemi di carenza di piloti. Cosa che non sarebbe nell’interesse delle aziende. Il modello sociale europeo è un buon modello per tutti».
Quali sono gli elementi che, come sindacato dei piloti, state monitorando, anche per i prossimi 3-5 anni?
«Seguiamo attentamente la regolamentazione del lavoro a livello europeo: il continente è ancora molto frammentato. E i dipendenti non traggono beneficio da questa situazione. Lo stesso vale per la tassazione, i regimi pensionistici e l’assicurazione sanitaria. Per questo lavoriamo per condizioni e salari simili per tutti i dipendenti nei gruppi aerei transnazionali. C’è poi un’altra cosa, non meno importante: si avvicinano le elezioni europee».
E questo perché vi riguarda?
«Ci chiediamo se avremo finalmente un parlamento e una commissione che si preoccuperanno davvero dei diritti dei lavoratori. Eppoi è importante anche proteggere e rafforzare la competitività. Tasse e requisiti burocratici stanno rendendo più difficile per le nostre aviolinee competere con i loro concorrenti non europei. È una cosa che deve finire».
lberberi@corriere.it
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