Intervista di Berberi a Troncone.
Troncone (Aeroporti di Roma): «Fiumicino record con quasi 50 milioni di passeggeri. L’espansione ora è una priorità»
di Leonard Berberi
Parla l’amministratore delegato della società che gestisce Fiumicino e Ciampino. «Con l’accordo Ita-Lufthansa più voli verso Sudamerica e Africa». L’intermodalità?«Serve una spinta». E focus sul risiko degli aeroporti
L’aeroporto di Roma Fiumicino, la principale porta d’ingresso e d’uscita — via aria — d’Italia, chiude il 2024 sfiorando i 50 milioni di passeggeri (49,2, per l’esattezza). «Numeri impensabili fino a poco tempo fa», dice durante un’intervista al Corriere della Sera Marco Troncone, amministratore delegato di Aeroporti di Roma, la società di gestione (anche di Ciampino). E proprio per questo richiedono una spinta ai piani di espansione.
Perché «impensabile»?
«Poco più di un anno fa con le aviolinee avevamo previsto meno di 49 milioni di passeggeri al 2028. Li abbiamo raggiunti quattro anni prima».
Com’è suddiviso il traffico?
«Circa il 21% del nostro traffico è domestico. Un altro 46% è europeo. La restante parte, il 33%, è extra Ue. Solo sui voli intercontinentali — quindi Nord America, Centro-Sud America, Estremo Oriente, Cina, Medio Oriente e Africa — abbiamo nel 2024 come posti offerti quasi 6 milioni di posti, in crescita del 29% rispetto all’anno prima».
Nel 2025 che volumi vi aspettate?
«Un 9-10% di ulteriore crescita, quindi dovremmo arrivare attorno ai 53,7 milioni di passeggeri».
Da dove arriverà questo aumento?
«Sicuramente dalle prime conseguenze dell’accordo Ita-Lufthansa. Ci saranno anche altri piccoli “effetti collaterali” delle nozze, come l’offerta di easyJet sui voli di breve raggio grazie anche all’apertura di una base a Fiumicino con tre aerei. Il resto verrà da Wizz Air e Ryanair».
L’effetto Giubileo?
«Al momento non sembra così significativo. Vediamo sicuramente delle operazioni charter — tra i 300 e i 500 mila passeggeri in più —. E poi un incremento dei tassi di riempimento dei voli attuali. Quel numero che ogni tanto viene evocato, 32 milioni di visitatori, non vuol dire che arriveranno tutti via aria. E non dimentichiamo di chi, magari, posticipa il viaggio a Roma al 2026 per evitare l’affollamento».
C’è spazio per ulteriori flussi a Fiumicino?
«La macchina aeroportuale può accogliere altro traffico, crescendo la mattina presto o in tarda serata, volando di più a gennaio e febbraio. Tra l’anno prossimo e il 2027 riattiveremo delle infrastrutture già disponibili: il Terminal 3, grande polmone di accettazione per l’extra Ue, l’anno prossimo sarà totalmente disponibile. Nel 2027 si riaprirà anche un’altra grossa area d’imbarco, che è il molo D».
Ma l’espansione di Fiumicino diventerà inevitabile.
«È già inevitabile. Considerando le previsioni rischiamo di arrivare tardi e di avere periodi di sofferenza se non ci diamo una mossa».
Ecco, quando iniziare ad allargare l’infrastruttura?
«Se vogliamo far lavorare bene Fiumicino come un hub e quindi puntando sulle ondate di connessione, in particolare verso i mercati strategici — nella prima parte della giornata verso il Nord America, nella parte finale della giornata verso il Sud America e l’Asia — dobbiamo farlo da subito. La potenza degli aeroporti non si calibra come se fosse una turbina a gas, non è si riesce a fare dall’oggi al domani. E questo tocca anche la strategia nazionale».
In che senso?
«Se il Paese vuole cogliere in pieno l’opportunità di giocarsi una carta che altri non hanno — perché scali come Francoforte, Parigi, Amsterdam sono già bloccati nella crescita — e difendersi dalle minacce allora deve ragionare seriamente sull’espansione. Quando ci sono i grandi flussi verso il Sud del mondo, idraulicamente questi andranno dove c’è la valvola più grossa e quella noi vorremmo fosse Fiumicino, non certo ad esempio Lisbona dove il governo sta lanciando un grande aeroporto».
Qual è il limite di passeggeri oltre il quale Fiumicino non può più andare oltre offrendo lo stesso servizio?
«Direi circa 60 milioni. Da gestire nell’arco di sette, otto anni, quanti ce ne vorrebbero per concludere i lavori se iniziassimo ora. Ma qui entra un altro tema che è quello della sostenibilità acustica, che il piano di sviluppo migliorerà in modo netto e strutturale. Oggi siamo dentro i limiti consentiti, ma in altri scali europei si inizia a porre il problema».
Quanto costerà l’espansione dello scalo?
«Tra i 5 e i 6 miliardi, che fanno parte del piano di investimenti da 12 miliardi dei quali tre già spesi e altri tre già programmati. Vogliamo far lavorare Fiumicino come hub per la nazione, per il bacino del Mediterraneo, perché c’è un’opportunità unica in questo senso. E non tutto va dato per scontato. Lufthansa ha delle aspettative anche dall’aeroporto, sia di qualità che di quantità. E al di fuori c’è la concorrenza, c’è tutto il resto dell’Europa e del mondo che si muove».
Dove vede gli sbocchi migliori per Fiumicino dalle nozze Ita-Lufthansa?
«Nel Nord America potrebbero aggiungere destinazioni anche utilizzando United Airlines. Prevediamo un rafforzamento sul Sudamerica (Brasile, un po’ Argentina). C’è poi una forte domanda non servita su Lima e Bogotà. E magari Messico. Sull’Africa si potrebbe intensificare la connettività con il Nord e sicuramente puntare di più sulla parte sub-sahariana, che ha margini di guadagno elevati».
Fiumicino è cresciuta post pandemia anche grazie alle low cost. C’è ancora spazio per loro per aumentare l’offerta?
«Sì. Wizz Air, per esempio, è un player estremamente dinamico. Con loro abbiamo ragionato se si poteva — e loro hanno deciso spontaneamente di farlo —, puntare la loro crescita soprattutto su mercati oggi a basso livello di sovrapposizione con tutti gli altri, in primis Ita. E ora stanno cominciando a guardare molto al centro Asia con milioni di viaggiatori potenziali».
E il destino di Ciampino?
«Lo scalo, com’è noto, ha un tetto massimo di movimenti: non più di 65 al giorno. Il destino è di rimanere così com’è, i 4 milioni di passeggeri all’anno sono importanti, soprattutto per Ryanair. Ma è anche un cruciale scalo per i jet privati e per le attività degli enti di Stato. È anche il nostro aeroporto “alternato”, ruota di scorta essenziale se c’è una situazione meteo avversa o una problematica su Fiumicino».
Negli ultimi tempi molto si muove negli aeroporti, con investimenti in Europa e cambi di proprietà. Voi come vi ponete?
«Con questa congiuntura positiva del traffico le valutazioni degli scali possono essere un po’ più alte. Chi vende ha gli asset che brillano un po’ di più e provano a venderli. Il nostro gruppo Mundys (al 57% di Edizione, al 37,8% di Blackstone, ndr) mantiene un approccio super positivo sul settore».
Che cosa potrebbe fare Mundys?
«Il gruppo intanto investe nell’asset di riferimento. Ma è anche vero che la nostra capacità industriale può essere messa a frutto altrove. E quindi l’idea è focalizzarsi su realtà industrialmente significative dove si possa avere una posizione non proprio di minoranza passiva, ma magari anche di controllo per poter incidere».
In Italia o all’estero?
«Entrambi. Sia a livello internazionale, sia nel nostro Paese dove lo spirito è quello di dare un contributo al progresso del sistema trasportistico nazionale».
Gli aeroporti siciliani (Palermo, Catania-Comiso) sono in vendita...
«Quando la procedura partirà ci interesseremo. Catania ha grandissimo potenziale di rilancio, così come Palermo. Ma aggiungerei anche gli aeroporti della Puglia. E potremmo dare un contributo maggiore a Bologna».
Per anni si è discusso di «intermodalità», cioè della combinazione del viaggio treno-aereo. Com’è la situazione?
«Non siamo a un buon punto. Abbiamo avviato un’attività nel 2022 con Ferrovie dello Stato che ha prodotto risultati immediati. Ma bisogna avere una sufficiente intensità di frequenze, in particolare dei servizi ad alta velocità sulla stazione di Fiumicino. Per qualche mese i Frecciarossa non arriveranno per alcuni lavori. C’è un problema di intermodalità commerciale, c’è bisogno di dare un colpo di reni forte. Per questo penso che lo stimolo debba provenire dalla politica, anche se il ministero dei Trasporti ha già aperto un tavolo sul tema».
Ma perché lo ritiene così importante?
«L’80% dei passeggeri di lungo raggio si muove su aree che hanno l’alta velocità e potrebbero innestarsi fruttuosamente nel sistema di Ita Airways senza disperdersi altrove. È anche fonte per Trenitalia per avere nuovi clienti».
Qual è la tempistica giusta dei treni per avere l’intermodalità come la intende lei?
«Sull’alta velocità ci basterebbe raddoppiare gli attuali tre collegamenti o attestarli meglio sulle direttrici di origine. Sul collegamento tra l’aeroporto e la città oggi come oggi non è al livello di una capitale di un Paese G7».
E come mai?
«Perché il materiale rotabile non è adeguato, perché è molto pieno e perché gli orari non sono adeguati. Noi abbiamo anche un’esigenza di muovere i lavoratori del sistema aeroportuale. Abbiamo tanto spinto l’utilizzo del treno, anche a scapito dei nostri parcheggi, per questioni di sostenibilità, ma il sistema non ce la fa più».
Quindi cosa propone?
«Bisogna cambiare la natura del servizio, che oggi è quello del sistema di trasporto di carattere regionale, a un sistema di trasporto metropolitano. Il passeggero deve andare in stazione senza preoccuparsi degli orari perché le partenze sono ogni pochi minuti. Questo vuol dire più sostenibilità, maggior livello di servizio, migliori condizioni per i nostri lavoratori, taxi che quasi scompaiono e magari vanno a lavorare dove servono, cioè in città, e uno “sgolfamento” di un quadrante di Roma che è sotto pressione. Questa è una cosa che chiediamo con forza, adesso ne parleremo sempre di più».
https://www.corriere.it/economia/traspo ... 8xlk.shtml