È tempo di crisi, ma le linee aeree low cost crescono

Marco Giovanniello – 15 marzo 2012

La scorsa settimana Ryanair ha proclamato d’ aver sorpassato Alitalia sul suo terreno di casa, oltre 28 milioni di passeggeri in Italia contro 25, tra ieri e oggi le altre due grandi compagnie aeree low cost europee, easyJet e Wizz Air, hanno annunciato aumenti dei voli in Italia.
Wizz Air approfitta della chiusura della linea aerea ungherese Malev e prende il suo posto a Malpensa nella rotta per Budapest, aggiungendo qualche volo per Bucarest. Dall’ aeroporto totalmente low cost di Bergamo Orio prova ad assaggiare Malpensa. Non vuol dire che Malpensa, già abbandonato da Alitalia, stia diventando un aeroporto low cost, è piuttosto il segno che la quota di mercato in Europa di questi vettori sta crescendo e che vengono ormai utilizzati non solo da turisti a caccia di risparmi, ma anche da chi vola per affari.
A causa della recessione il traffico aereo scende ma non per easyJet, che aggiunge due aerei alla base di Malpensa e uno a Fiumicino e inaugura nuovi servizi rivolti al viaggiatore d’ affari, dal Fast Track ai controlli di sicurezza al posto assegnato a bordo, varcando pure una frontiera ideologica del mondo low cost con un volo da Milano a Napoli che prevede il night stop, cioè l’ equipaggio che dorme a Napoli. Un aggravio di costi che però permette di servire i napoletani che vengono a Milano per lavoro e desiderano un volo molto presto la mattina.
Nel frattempo in Europa sono tempi grami per i piccoli vettori tradizionali. Oltre a Malev ha chiuso la catalana Spanair, da noi Wind Jet e Blue Panorama sono in trattative per essere assorbiti da Alitalia, a Meridiana i sindacati si ribellano alla ristrutturazione e giocano forte, parlando persino di possibili problemi di sicurezza. Lufthansa cerca di rimettere in piedi l’ inefficiente Austrian e si rassegna a vendere bmi a British Airways.
Dappertutto la crisi e l’ alto costo del petrolio spingono i passeggeri a cercare tariffe economiche e l’ effetto è chiaro: i grandi vettori che possono sfruttare le economie di scala crescono, i piccoli sembrano avviati a un declino inarrestabile.
Succede anche nei voli intercontinentali: Emirates e Qatar, che ormai hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli, crescono sfruttando disponibilità finanziarie che sembrano illimitate e aprono continuamente rotte e voli. Da Fiumicino e da Malpensa si volerà tre volte al giorno a Dubai, da Venezia due ed è pazzesco pensare che fino a pochissimi anni fa Emirates non aveva nemmeno un volo al giorno per l’ Italia, costretto a fare tappa sia a Roma che a Milano.
I grandi vettori europei, che sino a poco tempo fa dominavano il mondo, si vedono sorpassati, con la UE che li svantaggia ulteriormente con tasse ecologiche introdotte nel momento più inopportuno.
Ora chiediamoci dove sta l’ Italia. Probabilmente pochi sanno che nel 1998 l’ accordo fra Alitalia e KLM aveva portato alla creazione della più grande linea aerea europea. Sì, avevamo visto giusto, avevano visto giusto Cempella e Prodi, ma l’ eterna conflittualità del Paese, le rivalità fra Roma e Milano, l’ incapacità di resistere alle pressioni estere e di una piazza miope e mal consigliata da una stampa poco indipendente (il Corriere della Sera, controllato dal proprietario di Fiumicino, fu capofila nella campagna contro Malpensa), fecero naufragare nell’ ordine la limitazione dell’ aeroporto milanese di Linate, la redditività di Malpensa e infine il matrimonio con gl Olandesi.
Dopo qualche anno un’ Italia con il cappello in mano ha visto Prodi chiedere ai Francesi, che nel frattempo si erano accaparrati KLM, un salvataggio di Alitalia a qualsiasi costo.
I nostri cugini d’ Oltralpe non sono stati generosi: su Malpensa hanno chiesto che venisse sparso il sale, per Alitalia è stata prevista un’ energica cura dimagrante, mentre come abbiamo visto solo chi cresce riesce a competere. Il nuovo governo Berlusconi, affermando di voler fare il contrario di Prodi, ha fatto lo stesso e ancora di più, consegnando al controllo indiretto francese anche AirOne e benedicendo un’ operazione di facciata che avrebbe mantenuto l’ italianità di Alitalia almeno fino alla primavera 2013, casualmente la data delle future elezioni politiche.
A oltre tre anni da quell’ operazione dobbiamo notare che Sabelli ha fatto di Alitalia una vera azienda, dal carrozzone pubblico e ipersindacalizzato che era. La flotta è stata rinnovata, la puntualità è ai vertici in Europa, i dati sulla soddisfazione della clientela sono molto buoni.
Tuttavia Air France è assorbita dai suoi problemi interni e non la rileverà nel 2013, avendo ritardato l’ inizio di una necessaria ristrutturazione che deve rispondere alle sfide portate in Europa dalle low cost e nel mondo dai vettori del Golfo e asiatici.
Sabelli passa la mano a Ragnetti, incaricato di far crescere l’ azienda. Idea ben condivisibile, ma per crescere seriamente ci vogliono capitali, quelli che i soci difficilmente concederanno. C’ è stata una finestra di opportunità nella nostra area geografica che Alitalia ha mancato e che invece è stata colta da Turkish. Chissà quanto spazio è rimasto.
Alitalia è troppo piccola nei voli intercontinentali per essere un vettore tradizionale, indipendente e di successo. Così può al massimo vivacchiare e dunque deve scegliere se crescere decisamente o accasarsi, con Air France o un eventuale altro partner.
In entrambi i casi il Paese non può accettare il rischio di una marginalizzazione e di godere solo delle briciole del mercato dell’ aviazione, senza parlare delle ancor più importanti conseguenze per il nostro sistema economico e per il turismo. Deve dire la sua, in particolare in caso di vendita l’ Italia deve pretendere dal compratore un chiaro impegno di sviluppo delle rotte intercontinentali, come fecero sia la Svizzera che i Paesi Bassi, al momento della vendita della propria compagnia di bandiera rispettivamente a Lufthansa e a Air France.
Pure ci sono da prendere decisioni serie e coerenti per permettere che Malpensa si sviluppi e il nordovest non resti terreno di pascolo di qualunque linea aerea europea, fuorché delle italiane.
La palla è al Ministro dei Trasporti e dello Sviluppo Corrado Passera, che a Intesa Sanpaolo fu la levatrice di una nuova Alitalia che è stata concepita con obiettivi troppo modesti. Giocare per lo zero a zero non basta più e, per parafrasare Clemenceau, il settore aereo è una cosa troppo seria per lasciarlo agli aviatori e ai capitani coraggiosi.

Da LINKIESTA