Bonomi sul piano Fenice e Malpensa

Giuseppe Bonomi, 50 anni compiuti a giugno, leghista della prima ora ma soprattutto presidente di Sea, ovvero gli aeroporti di Milano, da qualche tempo è costretto a una sorta di pendolarismo da un piano industriale all’altro, in balia di quanto fanno e disfano i governi sui destini di Alitalia. Ma anche adesso che sembra essere arrivata la parola fine (Bonomi però, scalfarianamente, non sottovaluta le molte ombre che ancora pesano) la delusione è palpabile. Il piano elaborato da Banca Intesa non è tenero con Malpensa, e similmente a quello abortito di Air France, la nega l’agognato status di hub. In più, il governo non si muove e la liberalizzazione degli slot che potrebbe compensarla dall’inopinato abbandono di Alitalia resta ancora nel limbo delle buone intenzioni. Insomma, ce n‘è abbastanza per avere molte cose su cui ridire.

Sul salvataggio di Alitalia siamo stati sommersi dai commenti. Manca solo il suo.
Ero concentrato sul nuovo piano industriale di Sea che abbiamo approvato in luglio. E poi le sorti di Alitalia ci interessano fino a un certo punto.

Vivete lo stesso bene senza?
Alitalia ha già diminuito dell’82% la sua presenza a Malpensa. Così abbiamo rifatto il piano industriale prevedendo una serie di opzioni di sviluppo che prescindono dal suo riposizionamento.
Eravate già stati dehubbizzati prima.
Sì, e francamente l’attuale disputa di dove metteranno gli aerei, Roma, Milano o chissà dove, è stucchevole. Ciò detto se Alitalia vuol riposizionarsi su Malpensa parliamone.

Ma lei cosa pensa del piano Fenice?
Condivido quanto detto da Berlusconi che è l’unico progetto possibile. E da Passera che lo definisce serio. Magari avrei enfatizzato un po’ di meno la prospettiva strategica che al momento non si vede. Questo è solo un progetto di salvataggio di Alitalia, non per il rilancio del trasporto aereo.

Sono trent’anni che in Italia si parla di rilancio del trasporto aereo. Non si poteva mica fare tutto in un colpo.
Le occasioni perse sono state due, entrambe progetti di grande rilevanza strategica: quello della poi mancata alleanza tra Alitalia e Klm. E, immodestamente, quello che abbiamo fatto noi in Sea.

Un gestore di aeroporti per mestiere può volare alto. Parla degli accordi di Sea con Lufthansa?
Certo. Sono convinto che l’Italia abbia bisogno di un hub non per entrare nelle classifiche, ma perché è il modello industriale che meglio garantisce l’accresciuta accessibilità diretta di lungo raggio di cui il Paese ha bisogno. E i tedeschi sono il vettore di riferimento giusto.

Meglio questo o il piano di Air France?
La proposta francese era ottima per Air France, buona per Alitalia, pessima per l’Italia e Malpensa. Ma poi le proposte sono inconfrontabili perché il contesto ambientale, parlo soprattutto del prezzo del petrolio, è cambiato.

Anche il piano Intesa però penalizza non poco Malpensa.
Malpensa esce penalizzata in primis dal progetto di dehubbing scelleratamente portato avanti dal vecchio gruppo dirigente di Alitalia.

Una delle due opzioni del piano Fenice prevede di mettere a Malpensa 10 voli intercontinentali, 40 internazionali e 20 domestici. Non è poi così malaccio.
Intanto bisogna vedere quale opzione passa, una decisione immagino legata al partner che si sceglierà. Comunque sono sempre meno voli di quelli che Alitalia aveva nel 2007.

Un sospetto indecente. Non è che i dissapori sulla gestione dell’Expo tra Roma e Milano hanno qualche riverbero sulle vostre sorti?
Se così fosse a Roma farebbe un gioco veramente miope. Nonché masochista.

Quanto vi è costato in termini di cifre l’abbandono di Alitalia?
Sul conto economico la previsione era di 70 milioni di euro l’anno.

La compenserete con la liberalizzazione dei diritti di volo?
Basta che il governo ce la conceda. È l’unica cosa che chiedo, io mica tiro per la giacchetta Passera o Colaninno per portare i voli a Malpensa.

Ma il governo, questo e quello precedente, finora nicchiano.
Noi non molliamo. Settimanalmente aggiorniamo gli accordi bilaterali tra stati su cui riteniamo necessario che il governo intervenga. Qualcosa si è mosso, anche se non c‘è ancora un impegno formale.

Dicono che lei abbia apprezzato le critiche di Scalfari e Giavazzi all’operazione.
Solo per la parte che riguarda le molte incognite ancora da affrontare: dai sindacati al via libera di Bruxelles, alla possibilità di azione dei creditori, che si stanno interrogando su possibili profili di illegittimità del decreto che modifica la Marzano.

In quanto creditore Sea si starà interrogando anche lei.
Certo, ho un credito di 47 milioni di euro che presumibilmente dovrò portare a perdita, e che aggrava una posizione finanziaria già penalizzata dal dehubbing.

pz<>. Pensavo foste creditori privilegiati.
Sembra che vogliano tutelare gli azionisti, non il creditore ordinario, e la cosa è paradossale. Il rischio di chi investe in azioni non è paragonabile a quello del fornitore di servizi a cui solo due mesi fa era stato detto che la nuova Alitalia avrebbe operato in regime di continuità aziendale. Se questo è essere scalfariano lo sono in pieno.

Un altro bel paradosso è che la fallita Alitalia continua ad operare nei vostri scali.
Infatti, chiederò subito un incontro con Fantozzi per definire che ne sarà del mio credito futuro. Non vorrei finire cornuto e mazziato.

I milanesi temono per i destini del loro aeroporto di riferimento, Linate.
Da anni sul tema i politici dicono tutto e il contrario di tutto. Il nostro piano industriale dice che a fronte dell’opzione hub di Malpensa siamo disponibili a riconsiderare Linate. Un’opzione che nel piano Fenice non c‘è, ergo Linate non si ridimensiona.

Da Il Sole 24h