Come ignorare il decreto Bersani Bis su Linate

E Linate diventa il bunker di Sabelli
Alitalia, aggirando la Bersani, lancia i voli per Parigi, Bucarest e Varsavia. E salva Sea Handling

Linate va chiusa. Anzi va rafforzata. Un cambio di marcia drastico quello che Roberto Colaninno e Rocco Sabelli hanno deciso per la nuova Alitalia. Prima il pesante ridimensionamento del secondo scalo milanese veniva esplicitamente posta come condicio sine qua non per un riposizionamento della compagnia italiana sull’ex hub di Malpensa. E invece la scorsa settimana Linate è tornata di colpo strategica. Anzi, «non ha mai smesso di esserlo», come hanno detto all’unisono i vertici della compagnia annunciando nuovi voli su Bucarest, Varsavia e Parigi. La stessa nuova Alitalia vorrebbe riscoprire la centralità di Malpensa nel suo modello di business , da cui per ora verrà istituita la tratta per San Pietroburgo, mentre per il futuro si parla di Buenos Aires, Miami e Shanghai. Un nuovo quadro che apparentemente fa (quasi) tutti contenti: compresa la Sea guidata da Giuseppe Bonomi che gestisce gli scali di Malpensa e Linate. Cosa ha fatto cambiare idea ad Alitalia? In che quadro normativo e sindacale si colloca questo cambio di rotta?

Coincidenze

Proprio mentre la nuova Alitalia sanciva ufficialmente il ritorno di fiamma per gli scali milanesi, la Cai trovava un accordo «salvavita» con Sea Handling, la società di servizi a terra di Sea, dopo aver minacciato a lungo di rivolgersi ad un altro operatore. Un nuovo contratto quadriennale è stato siglato e la società di Sea resterà partner di Alitalia a Malpensa e Linate. Un’eventuale decisione contraria avrebbe inflitto l’ultimo colpo a Sea Handling, già provata dal declassamento di Malpensa avvenuto un anno fa e gravata di una struttura «pesante» e molto costosa ereditata dalle gestioni passate.
La maggioranza dei dipendenti della Sea, infatti, fa capo a Sea Handling, mentre già nel 2000 gli Areoporti di Roma sulla via della privatizzazione si liberarono dei servizi di terra, vendendoli ad Alitalia che poi li fece confluire nello «sfortunato» contenitore di Az Servizi. La ritrovata armonia tra padani e la Magliana evita il tracollo definitivo di Sea Handling, una nuova guerra sindacale dopo le pazienti e dolorose trattative condotte dai vertici della società, nonché lo spauracchio di migliaia di esuberi: che in tempo di elezioni e in piena recessione sono più fastidiosi del solito.

Il dubbio tedesco

Qualcuno, tuttavia, dev’essersi insospettito per quest’Alitalia che rimette il muso verso nord. Sono i tedeschi di Lufthansa, freschi di fondazione e lancio della loro Lufthansa Italia, e che proprio a partire da febbraio ha potenziato fortemente il suo radicamento su Malpensa, sia stabilendo un network con le principali capitali europee che rafforzando il radicamento italiano aprendo tratte su Roma Napoli e Bari. Del resto, proprio i tedeschi si sono candidati ad essere il grande competitor della nuova Alitalia, non nascondendo l’ipotesi di pensare a Malpensa come loro hub per il sud Europa, mentre a livello continentale è sempre aperta la sfida con Air France, socio industriale di oggi e di domani per la nuova Alitalia.
Una nuova Alitalia che, indubbiamente, potendo contare sul monopolio garantito della Linate-Fiumicino, e avendo sempre al Forlanini disponibilità di slot da cui lanciare nuove tratte europee, gode indubbiamente dei vantaggi di comodità che il piccolo scalo alle porte della città ha sempre avuto nei confronti di Malpensa. Senza che nessuno, nemmeno tra gli amministratori che con più forza ha protestato in quest’anno per il declassamento dell’ex hub della brughiera, abbia mai fatto molto per colmare un gap infrastrutturale evidente e che continua a gravare sullo sviluppo di Malpensa.

La legge che (non) c’è

Del resto, anche il quadro normativo che avrebbe imposto una limitazione del peso di Linate — al di là delle opinioni di opportunità politica e della propaganda elettorale del trasversale partito milanese che da decenni grida che Linate non si tocca — è stata costantemente interpretata a vantaggio di un continuo incremento dello scalo cittadino. E questo è avvenuto e avviene, in particolare, da parte di Alitalia, ma non solo.
Il decreto Bersani bis del 5 gennaio 2001, varato con l’intento primario di «sviluppare l’hub di Malpensa» è ancora in vigore benché progressivamente svuotato dal punto di vista tecnico. E prevede limiti precisi per ogni operatore e ogni tratta che abbia Linate per base di partenza. Ad Alitalia spetterebbero, ad esempio, un volo quotidiano per Bari o Cagliari, due per Napoli e Catania, tre per Londra. Ma sfruttando la molteplicità di codici di volo attribuiti a compagnie che sono tutte riconducibili a quella guidata da Rocco Sabelli, diventate ancora più numerose con l’ingresso a pieno titolo di Airone nel perimetro societario, Alitalia vola quotidianamente sei volte su Bari, cinque su Catania, addirittura dieci su Napoli. Questioni analoghe, seppur numericamente assai meno rilevanti, si pongono peraltro per Meridiana, e in un caso ciascuno anche per British Airways e Lufthansa. Del resto, anche Bucarest e Varsavia, da cui Alitalia inizia ora a volare, non erano comprese tra le «capitali europee» quando il Bersani bis fu approvato e a cui la stesso decreto fa riferimento nell’accordare i diritti di volo. E se è ammissibile un’interpretazione «temporalmente aggiornata» con riguardo ai nuovi confini dell’Europa, allora lo stesso criterio si dovrebbe adottare anche dove è svantaggioso: Pescara è provvista di connessione da Linate perché rientrante nell’Obiettivo 1 Ue nel 2001, ma da tempo non più considerate parte di quel programma di sviluppo europeo. L’autorità competente, l’Enac, in tutti questi casi si è lungamente adeguata all’interpretazione di favore, evitando sempre che il problema si ponesse su un piano legislativo, cioè politico. Eppure, la discussione evitata non è valsa la salvezza della vecchia Alitalia.

30 marzo 2009
jtondelli

Fonte: Corriere.it