Il cielo sopra Milano aspetta il miracolo

Il cielo sopra Milano aspetta il miracolo

Malpensa, sintesi massima dell’inefficienza italiana, non è mai decollato. Non siamo stati capaci di imporre l’hub lombardo alle lobby europee e nostrane. Il piano Passera riuscirà a farlo convivere con Linate, ridandogli un ruolo?

Quindici anni dopo, si ripresenta lo stesso quesito: ce la farà Malpensa a svuotare Linate e a diventare davvero un grande aeroporto, in grado di collegare efficacemente Milano e la Lombardia con tutto il mondo?
Pensiamo al paradosso: due aeroporti della stessa città, gestiti dalla stessa società, che si fanno la guerra. Possibile?
Nel 1997, un anno prima dell’apertura di quello che allora veniva chiamato Malpensa 2000, un decreto dell’allora ministro dei Trasporti Burlando stabilì che tutto il traffico aereo avrebbe dovuto essere concentrato a Malpensa e che a Linate doveva rimanere solo la navetta Milano-Roma.
L’aeroporto aprì nel 1998 e da allora fu un susseguirsi di norme, sempre più confuse e compromissorie che, come risultato, indebolirono quello che doveva essere un grande hub – cioè uno snodo tra voli brevi e lunghi –, provocarono la fine dell’alleanza tra Klm e Alitalia e contribuirono al fallimento di quest’ultima. La lobby delle compagnie europee – a cominciare da Lufthansa e British – usò ogni mezzo per difendere il proprio diritto a volare da Linate, e vinse.
Malpensa, anziché ampliarsi, è stato abbandonato prima da Alitalia, troppo piccola per sostenere due hub in Italia (l’altro è Fiumicino) e due basi a Milano; poi da Lufthansa Italia, nata con buone intenzioni e poi abortita, e pure AirOne (Alitalia) ha ridotto i voli.
Linate, nonostante il contingentamento dei voli orari, è invece cresciuto oltre le previsioni e oggi è il più temibile e dannoso concorrente di Malpensa. Perchè? Perchè Linate da anni cannibalizza l’aeroporto più grande, che è stato spinto in un ruolo marginale. Linate è diventato il vero “hub” di Milano: i viaggiatori, soprattutto chi si muove per lavoro, preferiscono decollare dall’aeroporto cittadino anche per i voli di lungo raggio, facendo scalo a Francoforte, Parigi, Londra, Amsterdam, dove trovano voli frequenti di compagnie di prim’ordine per India, Cina, Americhe. Anche da città italiane come Bari, Catania, Napoli si fa perno su Linate per proseguire, attraverso gli hub europei, fino alle destinazioni intercontinentali (quasi un “hub” degli “hub”).
I numeri di questi passeggeri detti “in fuga” sono eloquenti: oltre il 10% dei passeggeri di Linate prosegue sul lungo raggio; si tratta di quasi un milione di persone. Intanto Malpensa, che è una grande infrastruttura, è priva di una vera missione strategica, sembra la somma di tanti voli di qua e di là, scoordinati tra loro.
Oggi movimenta 19 milioni di passeggeri, metà del proprio potenziale; Linate, nato per 5 milioni, ne fa quasi il doppio. È uno spreco di risorse, visto che lo scalo più grande non riesce a svilupparsi.
Malpensa, se rilanciato a dovere, potrebbe far lievitare occupazione, servizi, indotto. Una ricerca Ambrosetti fa anche dei numeri, da leggere con prudenza, ma che sono almeno indicativi delle dimensioni del progetto: il rilancio di Malpensa darebbe un valore aggiunto di 30 miliardi nel 2030; già nel 2015 l’impatto sarebbe di 160 mila addetti e di 14 miliardi di valore della produzione. Quindici anni fa la forza di Malpensa fu spuntata da alleanze anche anomale: Roma (che non voleva la concorrenza di un altro hub a Fiumicino) le fece la guerra insieme alla borghesia milanese (che non intendeva perdere il privilegio del più comodo Linate).
Destra e sinistra si aiutarono trasversalmente, secondo le opportunità, e le compagnie straniere furono compatte contro il nuovo scalo, che avrebbe tolto loro mercato a favore di Alitalia. Oggi quel milione di persone “in fuga” da Linate vale all’incirca un miliardo di euro, ma in biglietti staccati all’estero; 15 anni fa se ne sarebbe avvantaggiata Alitalia a Malpensa. Il progetto di allora era proprio questo. Oggi non può più essere così. E nessuna compagnia italiana (né, allo stato, straniera) è in grado di “ricostruire” un hub come ci si illuse allora.
Ma perchè l’argomento è balzato nuovamente all’attualità?
Da un lato, il citato studio Ambrosetti (realizzato con il contributo della Sea) ha individuato gli ipotetici, colossali benefici di una riorganizzazione del trasporto aereo milanese. Ma non si possono trascurare altri fattori, a cominciare dal fatto che la Sea ha nuovi soci e il progetto di sbarcare in Borsa; e che il governo dei tecnici ha promesso di mettere mano a un riordino del sistema aeroportuale italiano, cresciuto selvaggiamente in questi anni, praticamente senza regole di coordinamento, in una competizione di tutti contro tutti.
Si attende in queste settimane che il ministro dei Trasporti, Corrado Passera, annunci un lavoro che, dal 1986, nessun governo è stato in grado di fare e che via via è diventato più difficile. In una ipotesi di riclassificazione e di riordino complessivo degli scali italiani potrà trovare soluzione anche la questione milanese. E Passera nelle prime dichiarazioni, è parso favorevole a una ridistribuzione del traffico.
Quale potrebbe essere il disegno per far decollare Malpensa?
Si tratterebbe di concentrare sullo scalo quanto più traffico possibile di breve e medio raggio, per creare una “piazza” naturale nella quale poi imbarcarsi per voli lunghi. L’offerta non sarebbe di una sola compagnia principale (come negli hub tradizionali) ma di più compagnie. Insomma Malpensa diventerebbe, nelle intenzioni più ottimistiche, un hub “multivettore”, una piattaforma di scambio di voli tanto più efficiente quanto più ampia.
Ma come poter contare su un aumento dell’offerta di voli di lungo raggio?
Giuseppe Bonomi, presidente della società di gestione, ha la risposta: si tratta di liberalizzare le autorizzazioni governative e i cosiddetti “diritti di quinta libertà”, quelli che permettono a compagnie straniere di caricare passeggeri anche negli scali intermedi (l’esempio è: Singapore-Milano-New York). Un bacino ricco di domanda potrebbe indurre lo sviluppo di questo modello. È chiaro che per questo occorrono provvedimenti governativi, non privi di resistenze; ed è altrettanto chiaro che la società di gestione, in questo caso, avrebbe un compito di coordinamento molto impegnativo.
Ma torniamo al quesito iniziale: Malpensa questa volta ce la farà? Sarà in grado di recuperare un ruolo e una dimensione che in passato le sono malamente sfuggiti? O è troppo tardi?
La risposta non è facile, ma – anche considerando che siamo in Italia – è lecito propendere per i pessimisti. Per vari motivi.
1 – Partiamo dal piano Passera: indicherà, secondo alcune indiscrezioni, una lista di una trentina «scali d’interesse nazionale» da sostenere e infrastrutturare, ma non entrerà nel merito di quale traffico questi scali debbano servire. Questo compito sarà affidato al mercato.
2 – Alitalia, che – anche se non più statale, ma privata – è ancora la più grande compagnia italiana, con la quale bisogna fare i conti di Malpensa non vuol sentir parlare e difende strenuamente Linate. Ci ha rimesso troppi soldi in passato e la sua organizzazione oggi non sarebbe in grado di far fruttare l’aeroporto come una reale opportunità. In più, il suo primo socio, Air France, non ha interesse a potenziare Malpensa. Un hub senza una compagnia di riferimento è una scommessa molto ardita.
3 – Per il Paese Malpensa non è più un’occasione strategica delle dimensioni immaginate in passato. Alla fine degli anni Novanta quel miliardo di euro (di oggi) sottratto alle compagnie straniere che servono i propri hub da Linate sarebbe stato in gran parte incassato da Alitalia e rimasto quindi nel nostro sistema, moltiplicandosi in un volano di attività complementari e collaterali. Oggi non è più così, e ad avvantaggiarsi in termini economici da uno sviluppo di Malpensa sarebbero soprattutto la Sea e l’indotto territoriale.
4 – Linate è molto funzionale alle grandi compagnie europee: si ripresenterebbe lo scenario di ricorsi a Bruxelles contro il governo italiano, con buona probabilità, anche questa volta, di soccombere.
5 – Come 14 anni fa, anche oggi parte della borghesia imprenditoriale milanese ha preso a battersi per Linate: Bernardo Caprotti, proprietario di Esselunga, ha aperto le danze comprando una pagina sul Corriere per dire la sua, e altri lo hanno imitato. Insomma, ai milanesi Linate piace, Malpensa no: il primo è vicino e comodo, il secondo lontano e scomodo. Solo la totale e netta chiusura di Linate cambierebbe tutta l’ottica del discorso; ma è un’eventualità impensabile. Se poi Malpensa continuerà a perdere traffico, finirà per essere ridimensionato anche il collegamento ferroviario con Milano.
6 – Malpensa è un aeroporto costruito al risparmio, privo dello slancio architettonico di una grande firma e ormai opaco, invecchiato.
Il mondo intanto si è riempito di una nuova generazione di scali belli, luminosi, immensi, accoglienti, dai servizi impeccabili e pieni di offerte commerciali, dove un’attesa, un transito diventano un piacere; non occorre cercare esempi in Asia, a Pechino, Shanghai, Hong Kong, Delhi: basta guardare anche soltanto a Parigi, Francoforte, Amsterdam o a Londra. In Italia, i più piccoli Venezia, Napoli, Catania sono più freschi e scintillanti del “mancato-hub” lombardo. Già, perché anche sull’estetica si compete, essendo l’estetica uno dei più immediati dispensatori di benessere. La scelta dei voli la si fa anche considerando da dove si parte e dove si transita, e Malpensa – fatta con piastrelle da cucina e con pareti di cartongesso, e che accoglie i passeggeri del treno con uno spazio di benvenuto lugubre e sinistro come una camera ardente – non è in grado di competere con i grandi hub europei.
Peccato però. La Lombardia ha 10 milioni di abitanti (quanto il Portogallo e un milione meno della Grecia) e i tre aeroporti che gravitano su Milano (Linate, Malpensa e Orio al Serio-Bergamo, nessuno hub) muovono complessivamente 36 milioni di passeggeri. Un bacino di clientela fantastico, raro nel mondo, ma sbriciolato fra tre scali e privo di una compagnia aerea di riferimento. Un potenziale buttato via.
Ma gli sprechi e le inefficienze sono il vecchio vizio italiano: a Malpensa la linea ferroviaria con Milano fu inaugurata sei mesi dopo l’apertura dell’aeroporto, il collegamento con l’autostrada per Torino 11 anni dopo, mentre il tracciato del treno ad Alta velocità Milano-Torino passa a pochi chilometri e il Frecciarossa sembra fare ciao ciao con la manina allo scalo: una beffa. Quando fu inaugurata Disneyland Paris, nel 1992, treno regionale, treno ad alta velocità e autostrada furono messi in funzione prima dell’apertura del parco. E non si trattava di una grande infrastruttura come un aeroporto intercontinentale, ma della città di Topolino.

Autore: Paolo Stefanato

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