La voce di Malpensante


Alitalia, il monopolio costa posti di lavoro e competitività

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Marco Giovanniello 4 aprile 2012

Nell’Inghilterra dove la concorrenza c’è ed è vera, da quando il governo Thatcher vendette British Airways, ci sono almeno due vincitori, appunto BA e easyJet. E in Italia? Nessuno rispetta le (poche) regole sulla concorrenza che ci sono e si è creato un monopolio sulla Milano-Roma che non ha eguali al mondo.

È bene che gli Italiani capiscano presto che i recenti insuccessi economici sono principalmente frutto di un’arretratezza culturale che non prevede sempre concorrenza, correttezza, trasparenza. È anche una questione di parole, noi diciamo concorrenza, per gli anglosassoni è competition, chiara è l’idea della gara.
Noi abbiamo un’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che i nuovi Nando Moriconi chiamano Authority, a Londra c’è invece un Office of Fair Trading. Fair trade come fair play, quella cosa che da noi dovrebbe stare al posto delle partite vendute. L’Autorità Garante presuppone che i contendenti tendano naturalmente a negare quello che l’ Autorità con la forza è costretta a garantire, il fair trade come il fair play al contrario presuppongono che i competitors per primi rispettino le regole ed è naturale che da un diverso atteggiamento mentale, la fairness o correttezza, risulti più improbabile che il competitor si venda la partita.
Quali sono le implicazioni pratiche nel campo economico? Che il competitor deve anche sforzarsi di apparire fair, corretto, altrimenti suscita il biasimo dell’opinione pubblica. Da noi invece ci prova, sperando di passarla liscia. Quando c’ è un problema il competitor britannico cerca per primo di proporre una soluzione fair, che sarà sempre più favorevole di una soluzione imposta dall’Office of Fair Trade dopo una lite. Da noi ha una naturale tendenza a fare il furbo, ad approfittare, sperare che l’ arbitro non veda, che il designatore degli arbitri sia favorevole, sappiamo tutti come succede, nessuno si stupisce di trovare, di quando in quando, il marcio a ogni livello, con recriminazioni sfacciate che durano anni, basta pensare alla Juventus che reclama scudetti dell’era Moggi, invece di vergognarsi e cercare di far dimenticare. Pare che nel lungo periodo però abbia risultati migliori chi non perde tempo ad assicurarsi favori fuori dal campo, ma cerca di vincere perché è il migliore e vale sia per le squadre che per le aziende, fair play e fair trade sono parte della stessa mentalità, quella che forse fece dire al Duca di Wellington che la battaglia di Waterloo era stata vinta sui campi da gioco di Eton.

Il lungo prologo serve a chiedersi perché, nell’Europa che ha iniziato a privatizzare le linee aeree venticinque anni fa, quando il governo Thatcher vendette British Airways imponendole di cavarsela da sola, il Regno Unito possa vantare almeno due vincitori, appunto British Airways e easyJet, senza dimenticare la più piccola ma importante Virgin Atlantic e pure Ryanair, che è irlandese ma nell’isola dirimpetto ha messo le radici più solide. Noi invece abbiamo una serie di vettori deboli o sull’orlo della chiusura. Le spiegazioni sono tante, ma la principale è che altrove si è imposto alle linee aeree di stare sui propri piedi, da noi è sempre stato chiaro che sarebbe stato concesso ogni aiuto e ogni favore, togliendo la necessità e lo stimolo d’ essere competitivi. Solo l’Unione Europea ha imposto un po’ di disciplina, vietando che si ripetesse all’infinito la ricapitalizzazione biennale di Alitalia, immersa da sempre in un delirio “pan-sindacalista”, inefficiente, piagnona e dipendente dall’aiutino.

Rocco Sabelli, l’ex amministratore delegato di Alitalia, ha lasciato un’azienda che al suo arrivo tale non era, ma un carrozzone ministeriale, tuttavia la taglia attuale è insufficiente a garantire un futuro roseo e certe cattive abitudini non vengono abbandonate, in particolare quella di pretendere che l’ arbitro sia nei fatti tutt’altro che imparziale. Un caso lampante coincide con la stessa nascita della nuova Alitalia, quando il governo Berlusconi consentì alla fusione con AirOne imponendo che l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non garantisse un bel nulla per tre anni, al termine dei quali è iniziato un procedimento segreto che si sarebbe pure evitato volentieri. Sulla Gazzetta Ufficiale, nel modo più criptico possibile, è stato annunciato che si sarebbe proceduto solo se qualcuno l’avesse chiesto in una finestra di quindici giorni che coincideva, casualmente, con le vacanze scolastiche di Natale, cioè con il periodo in cui era meno probabile che qualcuno se ne accorgesse. Che cosa sta facendo ora l’Antitrust? Quali criteri adotta? Quali obiettivi si pone? Nessuno lo sa.

Guardiamo invece a che cosa succede adesso a Londra. British Airways, che ha soprattutto il controllo del maggior numero di slot nel desideratissimo aeroporto di Heathrow, quindi vi può effettuare il maggior numero di voli, ha acquistato bmi, la seconda compagnia aerea tradizionale (non low cost) britannica, soprattutto perché possiede un tesoretto di 56 coppie di slot a Heathrow. L’ aeroporto principale di Londra domina il mercato più ricco d’ Europa, ma con qualche problema. Posto immediatamente a ridosso della città, le sue due piste sono purtroppo orientate in modo da obbligare il sorvolo del centro a tutti gli aerei in atterraggio, per la scarsa felicità di molti abitanti. Il Governo Cameron ha fatto una bandiera del “no” alla terza pista, anche se ora si vede costretto a cercare una possibile marcia indietro, perché il mancato sviluppo mette a repentaglio il primato in Europa, rende difficile l’ apertura di nuove rotte verso i mercati dell’Asia e British Airways non fa mistero che, in assenza di risposte soddisfacenti, svilupperà la controllata Iberia a Madrid. Da tempo gran parte degli slot una volta dedicati ai voli con gli altri aeroporti britannici è stata convertita in voli intercontinentali, migliorando i collegamenti di Londra con il resto del mondo, ma a spese di quelli delle città minori britanniche sia con Londra stessa sia con il mondo. Da questi aeroporti si vola più spesso verso gli altri aeroporti di Londra, ma più raramente proprio a Heathrow e quindi è più difficile un transito verso gli altri continenti. Bmi appunto aveva una rete più rivolta agli aeroporti minori, per questo motivo poco redditizia, una vendita a British Airways comporterebbe una maggior concentrazione e maggior potere di mercato per BA, minori collegamenti interni, difficoltà per tutte le compagnie internazionali nel trovare un modo di far proseguire oltre Londra i propri passeggeri, perché si troverebbero costrette a cercare la collaborazione del concorrente British Airways.
Bmi è in cattive acque, l’ attuale proprietario Lufthansa minaccia di chiuderla se la vendita a BA verrà vietata, il concorrente Virgin Atlantic è contrario alla vendita, ma non offre abbastanza per subentrare come compratore, il governo sa che British Airways è in svantaggio rispetto ai principali concorrenti, che hanno a disposizione piattaforme più grandi. Lufthansa a Francoforte ha quattro piste che possono essere usate contemporaneamente, Air France a Parigi Charles De Gaulle e Iberia a Madrid pure, KLM ad Amsterdam tre. British Airways a Heathrow ne ha solo due e permetterle di avere qualche slot in più può essere una soluzione almeno temporanea.
Che cos’ è successo? Che si è cercata una soluzione fair, sotto gli occhi di tutti, mentre politici, giornalisti e concorrenti facevano ben presente il proprio parere. L’ Office of Fair Trade ha dato l’ assenso alla fusione, sapendo che ci sarebbe stato un esame anche da parte della Commissione Europea, che invece nella paragonabile fusione fra Alitalia e AirOne non è mai intervenuta. Davanti alla UE British Airways si è presentata mettendo in gioco 10 delle 56 coppie di slot che avrebbe acquistato insieme a bmi, dopo una breve trattativa il numero di è aumentato a 14 coppie, di cui 7 verranno usate per collegare Edimburgo e Aberdeen e 7 per altre destinazioni specifiche. A tutti i concorrenti sarà concesso di acquistare, per rivenderli ai propri clienti, biglietti sui voli BA di corto e medio raggio che li porteranno a Heathrow.

Che cosa invece è successo in Italia e che cosa succede? Che Alitalia ha potuto acquistare AirOne senza condizioni, arrivando ad avere il monopolio della rotta fra Milano Linate e Roma Fiumicino, in nessun altro caso al mondo una rotta con un così alto numero di passeggeri è in monopolio. Anche a Fiumicino gli slot scarseggiano, ma a Linate mancano come a Heathrow e insieme al monopolio per Roma Alitalia si è assicurata senza disturbi il quasi monopolio delle rotte per il Sud, dove il livello della concorrenza è minimo. Ora Alitalia è in predicato per acquistare piccoli vettori come Blue Panorama e Wind Jet, si parla anche di Meridiana fly, potrebbe arrivare a detenere il monopolio anche nelle rotte da Roma a Catania, Torino, Cagliari.

Quello che ci insegna un Paese che in aviazione ha successo come la Gran Bretagna è che queste operazioni di concentrazione non devono essere respinte per principio, ma nemmeno essere autorizzate senza correttivi che vengano pubblicamente individuati e discussi. La pubblicità del dibattito, la trasparenza sono indispensabili per garantire la correttezza, la fairness. A Linate, aeroporto limitato da un paio di Decreti Bersani che nelle intenzioni volevano garantire che un adeguato numero di voli di medio raggio alimentasse i voli intercontinentali di Malpensa, vigono precisi limiti al numero di voli che un vettore può effettuare per ogni destinazione e questo numero intende anche garantire che ci sia un’ effettiva concorrenza.
Nel decreto leggiamo ad esempio che nessuno potrebbe volare da Linate a Londra più di tre volte al giorno, né più di due volte a Parigi, Napoli, Catania, una ad Amsterdam. Guardando gli orari delle compagnie aeree vediamo invece che Alitalia mette in vendita in un giorno scelto a caso, il 10 maggio, 7 e non 3 voli per Londra, 10 e non 2 voli per Napoli, 5 e non 2 voli per Catania. Insieme ad Air France Alitalia offre non 4, ma 12 voli al giorno per Parigi, con la concorrenza ferma ad uno solo, 6 e non 2 voli per Amsterdam, in monopolio, un monopolio di cui la nostra beneamata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non si occupa nemmeno, come se Parigi e Amsterdam fossero destinazioni insignificanti e come se un numero così alto di voli da Linate non riducesse anche il numero di passeggeri che da Milano vola facendo scalo a Fiumicino e da lì prosegue su voli intercontinentali Alitalia, quelli che almeno generano un po’ di occupazione in Italia.
Anche i concorrenti di Alitalia e dei suoi partner sembrano non curarsi dei limiti: Lufthansa vola 5 volte al giorno da Linate a Francoforte anziché 2, British Airways 5 volte a Londra invece che 3, Iberia 2 volte a Madrid e non 1. I Decreti Bersani vigenti vengono sistematicamente aggirati con escamotage, poco stupisce che Malpensa, non avendo la protezione che da sempre era stata giudicata indispensabile, perda traffico e posti di lavoro, mentre Linate è sottratto alla concorrenza a vantaggio di pochi, che se ne accaparrano la rendita e, contro le norme, aspirano un numero enorme di passeggeri verso i propri hub.
Mi sono chiesto come sia possibile che le Autorità non se ne accorgano, com’ è possibile che Alitalia voli 10 volte al giorno a Napoli e Lufthansa 5 volte a Francoforte, se non si potrebbe farlo più di 2. Avendo chiesto l’ elenco degli slot ad Assoclearance, che pur essendo un’ associazione privata delle linee aeree, sovrintende alla loro assegnazione e al loro uso, questa è stata la risposta
Alla luce della normativa europea e nazionale attualmente in vigore, Assoclearance è legittimata a scambiare e condividere i predetti dati esclusivamente con i soggetti interessati alla gestione operativa dei vari aeroporti coordinati e/o facilitati (compagnie aeree, società di gestione aeroportuale, fornitori di servizi per la navigazione aerea, ecc.), al fine di rendere il più efficiente possibile l’utilizzo delle infrastrutture e dei servizi operativi aeroportuali connessi con l’attività di trasporto aereo.

Nessuna esigenza di sicurezza può giustificare il rifiuto, anche gli orari dei voli El Al per Tel Aviv compaiono su tutti gli orari online e negli aeroporti. Purtroppo per Assoclearance, essendo interessato alla gestione degli slot, vorrei sapere perché i voli che vedo sui tabelloni e negli orari online non rispondano a quanto prevedono le norme, sapere perché la concorrenza non è garantita e vorrei anche sapere perché chi avrebbe il compito di far rispettare le norme pare non accorgersi che vengono disattese. Vorrei anche sapere che cosa ne pensa l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, se ha intenzione veramente di garantire la concorrenza e il mercato o lasciare che vengano garantiti solo altri interessi.
Tutto questo non succederebbe mai in un Paese dove non si tutela il Fair Trade in modo bigotto, ma nemmeno si oserebbe fare strame della fairness e della decenza. In Italia si crede di essere furbi, arruolando Autorità e associazioni a tutela degli interessi sbagliati, celando i fatti come se fosse effettivamente possibile nasconderli, ma senza purtroppo poter evitare che i risultati economici siano mediocri. Si evita la trasparenza per evitare la concorrenza e si evita la concorrenza per pigrizia, per poter stare al mondo comodamente, ma ai danni dei passeggeri e del sistema economico. Purtroppo è una politica miope, che non ha futuro perché permette di non migliorarsi quanto è necessario per sopravvivere nel mercato. Meglio trasparenza e concorrenza da subito, da oggi, ma gli Italiani, anche sotto il professor Monti, sono disposti a capirlo? E in primis è disposto a capirlo il Governo? Non c’ è concorrenza senza trasparenza e non ci sarà crescita con aziende tenute al riparo della concorrenza.

Dei consigli di Alessandro Penati per privatizzare SEA e delle illegalità a Linate

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Marco Giovanniello – 24 marzo 2012
In un bell’articolo su la Repubblica di sabato Alessandro Penati spiega come il Comune di Milano dovrebbe agire per valorizzare al massimo la partecipazione di controllo che possiede in SEA, il gestore di Malpensa e Linate.
A mio parere la procedura seguita per vendere a fine 2011 una quota del 29,75% non era tanto male se l’ obiettivo era appunto quello annunciato, piazzare una partecipazione minoritaria e mantenere indefinitamente, come aveva dichiarato allora il sindaco Pisapia, la maggioranza nelle mani del Comune di Milano.
Davanti ai bassi prezzi ottenibili in Borsa con un’ IPO nel momento più acuto della crisi dello spread e al desiderio di incassare subito, con l’ alternativa della F2i di Vito Gamberale si imbarcava un partner serio, competente, con orizzonte di lungo periodo e disposto appunto a investire ad un prezzo non certo basso per una partecipazione minoritaria, prova ne sia che nessun altro ha presentato un’ offerta al bando.
La vendita ora di una seconda tranche minoritaria, che però porterebbe il Comune a perdere la maggioranza, cambierebbe completamente il gioco. La “vendita a rate” impedisce di incamerare il premio di controllo e lascerebbe al Comune una terza tranche minoritaria svalutata, sarebbe una gara in cui F2i partirebbe avvantaggiato, perché per il fondo di private equity la seconda tranche permetterebbe di acquisire il controllo del gestore aeroportuale e per chiunque altro no.
Dunque non si può non dar ragione a Penati, se il Comune di Milano vuole vendere azioni di SEA può solo mettere all’ asta l’ intera partecipazione di maggioranza che ancora detiene.
Tuttavia Penati è impreciso quando scrive che “come azienda, SEA è un capolavoro di cattiva gestione”, perché “trasformare il sistema aeroportuale della prima area metropolitana italiana (reddito pro capite fra i più alti in Europa) in una cattedrale nel deserto (Malpensa) più una pista (Linate) strumentale solo alle esigenze di Alitalia di monopolizzare la tratta con Roma, richiede del genio.”
La tesi di Penati è condivisibile solo se sottintende che la cattiva gestione è quella che ha fatto il Comune di Milano della sua proprietà e non la gestione che il management ha fatto della società. Riuscire a fare utili ogni anno nonostante la fuga di Alitalia, che ha sottratto a Malpensa milioni di passeggeri in transito e dei relativi introiti, testimonia che la società è stata gestita bene, nei limiti in cui la proprietà ha condizionato la gestione e testimonia anche la ricchezza delle possibilità che offrirebbe il territorio dal punto di vista aviazione, se solo lo si volesse sfruttare razionalmente.
Se Linate è a servizio di Alitalia e Malpensa ne risulta azzoppato, perché nessuno osa affrontare la perdita di consenso che deriverebbe da una razionalizzazione del vecchio scalo come si farebbe ovunque in Europa, non è colpa di SEA come azienda, perché il management non può minimamente influire sulla ripartizione del traffico. È colpa del Comune che per primo ha scelto politicamente, con Albertini, di “difendere Linate” senza capire che danneggiava il sistema, è colpa dei Governi che sono stati dapprima troppo pavidi con la UE, in cui tanti non gradivano un nuovo hub concorrente, è colpa del governo Berlusconi che ha garantito alla nuova Alitalia ogni genere di aiuto indebito, è colpa dell’ attuale Governo indifferente se non ostile, è colpa di ENAC che scandalosamente tollera che i decreti vigenti sull’ uso di Linate vengano sfacciatamente aggirati, in primis da Alitalia e dai suoi partner, ma anche da molti altri vettori.
Dopo Air France che lo fece a ottobre, da domani trasloca tutti i suoi voli da Malpensa a Linate anche KLM, la linea aerea che nel 1998 voleva fare di Malpensa un grande hub, insieme ad Alitalia. Il decreto Bersani bis vigente limita ad un solo volo quotidiano di andata e ritorno i voli da Linate ad Amsterdam che una compagnia aerea può effettuare, ma Alitalia e KLM insieme ne faranno sei e non due, fingendo che ciascuno sia operato da una linea aerea diversa, linee aeree che esistono in pratica solo sulla carta e solo a questo furbesco scopo, prestanome.
ENAC e il Ministero dei Trasporti come le tre scimmiette tengono occhi, orecchie e bocca chiusi davanti ai furbetti dell’ aeroportino dell’ Idroscalo. Tollerano, di fatto incoraggiano, che Alitalia ricicli slot che non non usa più per i voli verso Fiumicino, a causa del traffico sottratto dal Frecciarossa, svuotando il sistema aeroportuale milanese del più prezioso traffico intercontinentale e arricchendo linee aeree straniere e aeroporti stranieri a scapito di SEA e degli interessi italiani.
Questo attentato all’ economia dal Paese dovrebbe dare la nausea ai cittadini e ai politici ben più di un’ intercettazione telefonica.
Ricordiamo quanto dichiarato a giugno da Christoph Franz, amministratore delegato di Lufthansa, quando gettò la spugna e cassò il progetto di rifare di Malpensa un hub:
“Il fatto che rimangano aperti due aeroporti vicini ha un impatto sul business. Linate non sarà chiuso e quindi non c’ è la prospettiva di dare una buona offerta da Malpensa per la clientela che vola per affari.”
cioè che Malpensa resterà una cattedrale nel deserto finché Linate verrà usato per garantire rendite.
Certo SEA non può, in questo stato, essere considerata un gioiello, gli utili sono una frazione di quelli che potrebbero essere ed è fuori luogo la critica di chi dice che il prezzo pagato da F2i è troppo basso, se lo si paragona a quello di alcuni aeroporti brasiliani recentemente passati di mano. Là è stato venduto un sistema funzionante, con l’ unico vero hub del Sudamerica a São Paulo, ma per gli utili che può generare da azzoppata SEA è stata forse fin troppo valutata da F2i.
385 milioni per il 29,75% di una società che nel 2011 ha fatto un utile netto normalizzato di 39,5 milioni vuol dire che F2i ha pagato un rapporto prezzo/utili di 33 per una quota di minoranza che lascia SEA in mano a chi non l’ ha gestita bene, fatico a credere che quella a F2i sia stata una svendita.
Quello che non va è il livello degli utili paragonato ad esempio al valore delle infra perché Malpensa viene utilizzato a metà della capacità produttiva, non perché sia una cattedrale costruita troppo grossa nel deserto, ma perché oltre un decennio di politica sbagliata a livello nazionale e locale lo tiene a metà del suo potenziale.
Le indicazioni di Alessandro Penati su come si dovrebbe privatizzare SEA sono sacrosante, ma prima di vendere un brutto anatroccolo sarebbe meglio fare in modo di trasformarlo in un cigno. Basterebbe poco, limitare Linate iniziando dal far rispettare le apposite regole, cosa che ENAC non fa.
Con la sconcezza, l’ illegalità tollerata dalle Autorità preposte a impedirla, di Air France e KLM che senza limiti portano passeggeri da Linate ai loro hub violando di fatto le norme e tra l’ altro discriminando i concorrenti come Lufthansa, British Airways o Iberia cui viene concesso di violare meno, perché non sono soci di Alitalia, Malpensa e SEA non vanno da nessuna parte ed è puerile discutere di danni ai cittadini se il Comune di Milano vende in un modo piuttosto che in un altro.
Già con Linate come previsto dal decreto Bersani bis, che ora non viene applicato, da una parte meno passeggeri verrebbero “aspirati” verso altri hub esteri e dall’ altra Malpensa avrebbe, trasferiti da Linate, abbastanza voli di breve/medio raggio per incrementare i suoi voli intercontinentali, perché, con la possibilità di servire tutti i passeggeri italiani e non solo i lombardi, tante linee aeree inaugurerebbero subito voli che senza transiti non stanno economicamente in piedi. E si ricordi che quei passeggeri italiani che non transitano da Malpensa solo in piccola parte transitano da Fiumicino, gli altri sono ricchezza che regaliamo al resto d’ Europa.
Se si riporta Linate alla legalità, da SEA si potrà incassare almeno il doppio e Malpensa avrà collegamenti aerei diretti con tutti i principali aeroporti del mondo. Non guadagnerà solo il Comune nella valutazione di una sua partecipazione, ma tutta l’ economia lombarda.
Sarebbe bello che se ne occupasse anche la Magistratura, ora che ha deciso di interessarsi agli aeroporti milanesi.

La vendita di una quota di SEA è stata pilotata? Se sì, bisogna applaudire Tabacci e Pisapia

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Marco Giovanniello – 16 marzo 2012
Leggiamo sull’ Espresso che il Comune di Milano avrebbe fatto in modo che la quota in vendita di SEA, gestore di Malpensa e Linate, venisse aggiudicata alla F2i guidata da Vito Gamberale. Questo si ricaverebbe da intercettazioni telefoniche.
Se così è stato, a condizione che il prezzo potesse avere l’ OK anche da Iva Zanicchi e ancor più che non sia “girato neanche un caffè” come dice Tabacci, è stata fatta la cosa giusta, cioè cercare come socio ed eventuale futuro proprietario non chi solo versa la cifra più alta in assoluto, ma chi anche può garantire il migliore futuro a SEA e al ruolo strategico che deve svolgere, mantenere e sviluppare i collegamenti fra l’ economia lombarda e il mondo. Questa è l’ ottica che deve avere la politica, questo dunque era il preciso compito dell’ amministrazione Pisapia.
Nel caso, complimenti a Tabacci e Gamberale non per essere stati furbi, ma per aver rimediato ad un sistema legale formalista e palesemente cretino, lo stesso che impone di assegnare lavori a chi fa l’ offerta più bassa e poi fallisce e lascia le opere incompiute per anni.
Meglio F2i o qualcuno come il fantomatico fondo indiano che non è stato nemmeno in grado di capire qual è l’ indirizzo di Palazzo Marino a cui consegnare la busta con la propria offerta? Che cosa ci si può aspettare da un investitore del genere? Sviluppo?
SEA tra le aziende è pure probabilmente il più grande datore di lavoro della Lombardia, non può essere venduta come una scatoletta al supermercato.
In un Paese dotato di un livello anche minimo di intelligenza non si cederebbe mai un asset strategico come SEA al miglior offerente, ma si ricorrerebbe ad un beauty contest, una procedura che furbescamente da noi viene proposta in altre situazioni e per altri scopi.
Fiumicino fu venduto, in tempi in cui la leva finanziaria era di moda, a chi non aveva abbastanza soldi per far crescere l’ aeroporto sotto tariffe che vari Governi, nel vano tentativo di impedire il fallimento di Alitalia, hanno tenuto troppo basse per un decennio e che solo l’ altroieri pare siano state sbloccate. Il risultato è che l’ aeroporto più grande d’ Italia è sotto standard e in ritardo di anni.
SEA deve passare da un proprietario come il Comune di Milano che non ha soldi da investire, pensa troppo spesso a maxidividendi ed è ricattabile politicamente su scelte fondamentali come la limitazione di Linate a qualcuno che ha i soldi, la vision e un progetto per risistemare tutta la filiera aeroportuale a ovest dell’ Adige. Difficile trovare un acquirente migliore di F2i, che tra l’ altro non è un esecrabile speculatore di Wall Street, ma un’ entità di origine anche pubblica.
Mi si perdoni la battuta paleomaschilista, ma se Tabacci ha individuato in F2i il marito giusto per SEA va apertamente applaudito purché, se in futuro si cederà il controllo, si faccia pagare il relativo premio.

Fitta nebbia politica sugli aeroporti del nord Italia

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Marco Giovanniello – 12 marzo 2012
La vendita da parte del Comune di Milano a F2i di una tranche di azioni della SEA, la società che controlla gli aeroporti di Malpensa, Linate e in parte Bergamo, ha fatto nascere da una parte un processo che potrebbe portare alla creazione di un più logico sistema aeroportuale nel nordovest, dall’ altra una cortina fumogena di dichiarazioni della politica locale che non lasciano presagire nulla di buono.
Come e più che in altre zone d’ Italia, fra la gemina Dora e l’ Adige gli aeroporti sono cresciuti e si sono moltiplicati senza una politica d’ indirizzo, né a livello nazionale né macro-regionale. Con l’ avvento di Ryanair e dei voli sovvenzionati con i cosiddetti accordi di comarketing si è rotto il paradigma per cui le compagnie aeree effettuavano i voli per cui c’ era traffico, qualunque aeroporto secondario ha scoperto che, pagando, poteva far nascere voli dal nulla e insieme far nascere posti di lavoro in aeroporto e nell’ indotto, creare il bisogno di lavori di ampliamento, dare gloria e voti a sindaci, assessori e Camere di Commercio, sperando purtroppo invano che quel traffico avrebbe ripagato gli investimenti.
La realtà invece dimostra che da una legge non si scampa: gli aeroporti grandi guadagnano, quelli medi vivacchiano e i piccoli perdono inesorabilmente, costringendo i loro soci pubblici a continue iniezioni di denaro per non alzare bandiera bianca, chiudere e licenziare. Se dietro al piccolo aeroporto c’ è una provincia grande e ricca come quella di Brescia l’ accanimento terapeutico è infinito e si cerca qualsiasi sotterfugio per non arrendersi alla realtà ed evitare la vergogna campanilistica di doversi dichiarare inferiori alla provincia confinante di Bergamo o Verona, quasi che l’ aeroporto fosse come la squadra di calcio.
La crisi morde, gli Enti locali fanno sempre più fatica a ripianare i bilanci di aeroporti che non hanno i numeri per stare in piedi come Cuneo, Brescia e Parma, Torino vede che è stato inutile pagare Alitalia per volare a Mosca, perché i passeggeri votano con i piedi e volano da Malpensa. Genova da buon’ ultima sale fuori tempo massimo sul carro di Ryanair ordinando un menu di voli a pagamento sul quale è difficile essere ottimisti. Il Comune di Milano, che è il massimo responsabile politico del semi-aborto di Malpensa, non è polticamente sensibile ai posti di lavoro a Linate, troppo pochi per contare qualcosa in città, né a quelli di Malpensa, perché hanno ripercussioni nel varesotto e dunque è disponibile a fare cassa.
La politica di Tabacci è tutto salvo che chiara: dapprima ha parlato di un’ operazione esclusivamente finanziaria, che avrebbe lasciato al Comune il controllo di SEA, poi ha detto che il Comune scenderà sotto il 50%, poi che non sa se si venderà, dice che con F2i si arriverà all’ auspicato, sempre a parole, coordinamento degli aeroporti del nord, poi che non è detto che sia F2i a comprare, sempre ammesso che si venda. Come ciliegina sulla torta dice che utilizzando l’ aeroporto vuoto di Brescia si potrà evitare di costruire la terza pista a Malpensa.
Nel frattempo il Ministro dei Trasporti Corrado Passera, che sembrava caldeggiare questa famosa integrazione tra aeroporti, tace, confermando l’ impressione che gli stia a cuore soltanto la rinata Alitalia che ha tenuto a battesimo. Peraltro tace anche sulla vexata quaestio dei diritti chiesti da Singapore Airlines per volare da Malpensa a new York.
Tace anche ENAC, che da anni ha delineato le direttive per il futuro degli aeroporti italiani, ma non ha nemmeno il coraggio di pubblicarle, forse per non andare contro le aspettative dei vari feudi locali.
Riassumiamo per i lettori le vicende della soap opera:
l’ aeroporto di Torino ha poco traffico, perché buona parte dei potenziali passeggeri va a Malpensa attratta dalla più ampia offerta di destinazioni e orari e per approfittare delle convenienti tariffe di easyJet, nonostante gli eterni lavori sull’ autostrada A4 e l’ assenza di un treno per l’ aeroporto della brughiera, impossibile finché non si costruirà un raccordo come si deve a Novara. Nel frattempo le strutture preparate per le Olimpiadi sono sottoutilizzate, il socio privato Benetton non vuole aumentare il traffico sovvenzionandolo in perdita, il Comune pare voler prendere atto della vanità di sogni di gloria ed è disponibile a uscire.
Genova pure ha un traffico modesto che spera di incrementare con Ryanair, Gamberale e F2i l’ hanno depennata dalla lista della spesa senza problemi, perché per ragioni geografiche non è in grado di impensierire i concorrenti.
Malpensa è la grande incompiuta, che può compiersi solo con una limitazione seria di Linate che sfugge da quindici anni e che difficilmente potrà avverarsi finché a comandare in SEA ci sarà la politica, incapace di dire ai milanesi che si deve fare qualche chilometro in più. Per Linate si veda quanto sopra.
Bergamo è l’ aeroporto che ha vinto la lotteria Ryanair. Cresciuto da un milione di passeggeri annui a oltre otto, è nella fortunata categoria di quelli che non devono pagare Ryanair per averne i voli. Il vettore irlandese paga poco, ma ci si può rifare con i parcheggi e gli affitti dei bar e negozi in aeroporto. A Ryanair Bergamo non dà soldi, ma una grande massa di passeggeri che viene aggiudicata fra gli aeroporti europei disposti a pagare per essere collegati con la Lombardia. Purtroppo si avvia alla saturazione e la vicinanza alla città rende improbabile l’ espansione.
Brescia Montichiari è un aeroporto senza voli commerciali, perché i potenziali utenti trovano già quello che cercano a Bergamo e a Verona. L’ orgoglio localistico impedisce la logica chiusura, insieme all’ indisponibilità della politica locale a restare tagliata fuori dalla spartizione della torta aeroportuale. Ogni anno ci sono molti milioni di perdite da ripianare e per un rilancio impossibile si vorrebbe recuperare la concessione ora in capo ai veronesi, i quali a loro volta temono che un vicino indipendente li distrugga col dumping.
F2i potrebbe effettivamente porre fine a questo gioco di rubamazzetto o meglio, come dicono gli Inglesi, beggar-thy-neighbour, manda all’ elemosina il tuo vicino. Riunendo tutti questi aeroporti sotto un’ unica holding si potrebbero forse placare gli appetiti politici, ma la cronaca segnala i varesotti preoccupati per la rottura dello status quo, i bresciani che vogliono a tutti i costi il controllo dell’ aeroporto, i veronesi che resistono e infine Tabacci che dichiara che l’ aeroporto di Brescia può servire a non fare la terza pista a Malpensa.
Purtroppo Tabacci sta parlando di due cose che non sono comparabili, con una visione semplicistica che pensa che il traffico possa essere ripartito a piacere fra i vari aeroporti, ma non è così, perché gli aeroporti non sono tutti uguali. In particolare Malpensa è l’ unico a poter collegare tutta questa ampia fetta della Padania direttamente con il resto del mondo, evitando scali a passeggeri e merci e, quel che è più importante, mettendo il nord Italia fra le destinazioni che dal resto del mondo possono essere raggiunte direttamente e quindi sono nella serie A di quelle con cui si intrattengono rapporti economici.
Un aeroporto intercontinentale ha bisogno di una certa scala, maggiore di quella attuale di Malpensa, ha bisogno che in futuro, quando il traffico lo richiederà, ci sia la terza pista, ha bisogno di un traffico in transito che Malpensa non ha perché viene dirottato a Linate, ha bisogno di concentrare traffico, mentre l’ attuale sistema degli aeroporti del nord Italia è votato alla dispersione che soddisfa i piccoli feudi aeroportuali e politici locali e regala il traffico più ricco, quello intercontinentale, ai concorrenti europei che non conoscono i nostri problemi feduali e hanno sempre quella visione d’ insieme della politica del trasporto aereo che noi non abbiamo mai.
Brescia attualmente non serve a nulla, anzi è dannoso, è una mina vagante che può distruggere la redditività degli aeroporti vicini, è un ricatto politico a cui non si vuole dare la necessaria risposta politica, che è la chiusura.
Guardando ad un lontano futuro, sapendo che non si aprirà mai più un aeroporto nuovo nella pianura padana, sapendo che finché c’ è petrolio la domanda di trasporto aereo crescerà sempre di più e che prima o poi, in realtà poi, gli attuali aeroporti saranno insufficienti, allora in quell’ ottica Brescia Montichiari va tenuto a disposizione per il futuro. Nel frattempo potrebbe essere utilizzato per qualche volo full cargo, cercando di intercettare quel traffico che dal Veneto e dall’ Emilia risale l’ Autobrennero sui TIR e va a imbarcarsi in Germania.
La politica deve fare delle scelte o meglio deve attuare quelle scelte che ENAC ha correttamente già individuato. Non si può cercare di accontentare tutti, altrimenti il nord Italia si terrà gli aeroporti in perdita o asfittici, mentre i profitti dell’ aviazione continueranno a fluire nelle casse di Ryanair, Lufthansa, Air France eccetera. Gli aeroporti del nordovest sono un’ anarchia che non ha uguali in Europa, che può essere risolta solo con le cesoie.
L’ aeroporto di Brescia va messo in naftalina, quello di Linate drasticamente ridimensionato, solo così il nord Italia potrà avere a Malpensa una piattaforma di transito in grado di generare decine di migliaia di posti di lavoro e fare da volano per l’ economia. Il potere di decidere va tolto alla politica locale, che si dimostra ogni volta incapace di vedere aldilà del proprio campanile o torre di controllo.
La Regione Lombardia sembra essere l’ unico Ente locale con una politica lungimirante, ma conta poco perché non ha quote azionarie, lo Stato se c’ è batta un colpo e non pensi solo a Roma e ad Alitalia.

Pisapia, vendere gli aeroporti senza aver affrontato il “cancro Linate“ è una follia

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Marco Giovanniello – 8 marzo 2012
Pare che il Comune di Milano, pressato dalle esigenze di cassa, sia pronto a vendere un ulteriore 25% di SEA, la società che ha in concessione gli aeroporti di Malpensa e Linate e ha una partecipazione del 30% in quello di Orio.
Le polemiche politiche non mancano e la questione va analizzata sotto diversi punti di vista:
1. la modalità della vendita
2. il prezzo e il momento della vendita
3. F2i è il proprietario ideale di SEA?
4. che cosa cambierebbe nel sistema aeroportuale del nord Italia
5. le conseguenze sindacali

1. La modalità di vendita
Una prima tranche di azioni SEA, pari al 29,75% del capitale, è stata aggiudicata a metà dicembre al fondo F2i, unico a presentare un’ offerta all’ apposito bando di gara, con un rilancio di un solo euro oltre la base d’ asta di 385 milioni.
All’ epoca l’ operazione era stata presentata come esclusivamente finanziaria, con Il Comune di Milano che avrebbe conservato la maggioranza assoluta di SEA, affiancato da F2i, serio investitore di lungo periodo nelle infrastrutture. La vendita della seconda tranche darebbe invece a F2i la possibilità di prendere il controllo di SEA, senza che sia mai stata dichiarata l’ intenzione di privatizzare e senza un dibattito politico.
La procedura per la privatizzazione de facto di SEA è assolutamente inusuale nel nostro Paese e soprattutto nell’ ingessato mondo degli aeroporti. SEA stessa ha posseduto per decenni il 49,98% di SACBO, concessionaria dell’ aeroporto di Bergamo Orio al Serio, ma senza mai comandare. Un gruppo coeso di soci bergamaschi ha mantenuto sempre il controllo, nonostante il sottilissimo margine di maggioranza, nessuno ha mai pensato di cedere ai milanesi, che nel 2009 si sono rassegnati a scendere appena un filo sopra l’ altra soglia importante del 30%.
Il controllo assoluto di Aeroporti di Roma, cioè di Fiumicino e Ciampino, è difeso con le unghie e coi denti dalla famiglia Benetton, nonostante una situazione a leva molto rilevante. Che in qualche mese e un po’ di soppiatto passi di mano SEA, il secondo operatore aeroportuale italiano, è davvero fuori dalle nostre abitudini. E’ chiaro che Bruno Tabacci aveva concluso un gentlemen’s agreement con F2i e ha scelto di attuarlo rispettando tutti i crismi della legalità, ma nel modo più indolore, a Milano si dice pelà la gainna senza falla crià.
La gallina però strilla, la ex maggioranza di centrodestra grida alla svendita, la CGIL teme pesanti ricadute sui lavoratori.

2. Il prezzo e il momento della vendita
Al bando di gara di dicembre, a parte il folkloristico investitore indiano che sbagliò indirizzo e presentò la busta fuori tempo massimo, si presentò solo F2i, nessun altro ritenne che spendere 385 milioni per una quota di minoranza di SEA fosse un affare. Ora quella quota di minoranza può diventare di maggioranza, ma solo se l’ acquirente della nuova tranche sarà ancora F2i, che si trova a partire avvantaggiata nell’ eventuale nuova gara. Prendiamo un bel bicchiere d’ acqua e cerchiamo di deglutire.
La motivazione addotta da Tabacci, che le casse di Milano siano in stato disastroso e la vendita di SEA sia una scelta obbligata, invita ad una seconda sorsata. Non ho personalmente alcun modo di credere che le cose stiano veramente così, piuttosto che come afferma la ex maggioranza che faceva capo alla giunta Moratti per cui non è vero, è solo una scusa per svendere SEA.
Fatto sta che, mentre il Comune di Roma ha ottenuto quasi 10 miliardi dal Governo Monti per sanare a spese di tutti gli Italiani gli sprechi delle sue passate amministrazioni, mentre Fassino dichiara che non gli importa di violare il patto di stabilità a Torino, Milano sceglie di essere virtuosissima e vende i gioielli di famiglia, per comprare i nuovi vagoni della metropolitana, nonostante le centinaia di milioni che arriveranno dall’ accordo con le banche sui derivati.
SEA è una partecipazione, una ricchezza che genera ogni anno fior di dividendi, i vagoni della metropolitana saranno utilissimi, ma non pagheranno alcun dividendo alle casse del Comune di Milano nei prossimi anni. Si aliena una proprietà per spendere, per quanto nobile sia la motivazione della spesa. Tabacci è il buon padre di famiglia che vende un monolocale per cambiare l’ auto sua e quella dei figli, ma con quali soldi si acquisteranno i vagoni nel futuro?
La scelta del Comune di Milano è vendere l’ asset più facilmente liquidabile, che ha un compratore pronto e promette di comportarsi secondo le migliori regole. Osserviamo però che Milano liquida un investimento storico in una situazione pessima. Dopo l’ abbandono da parte di Alitalia nel 2008, Malpensa ha perso milioni di passeggeri in transito, ricavi e profitti. La valutazione di SEA ne risente pesantemente, il prezzo pagato da F2i per la prima tranche è buono misurato sulla situazione attuale, ma se Malpensa fosse ancora un hub SEA avrebbe ben altro valore. Milano ha fallito politicamente nel difendere Malpensa come asset e ne paga finanziariamente le conseguenze, dalla vendita ricava centinaia di milioni di euro in meno per i suoi cittadini, un conto che va presentato alle amministrazioni Albertini e Moratti.
Sarebbe molto meglio fare di tutto per riportare Malpensa al livello che merita e che potrebbe raggiungere facilmente, se solo si affrontasse politicamente il cancro di Linate. Milano può guadagnare molto di più da SEA se Pisapia ha il coraggio di presentarsi ai cittadini elettori a dire che, anche per irrinunciabile convenienza economica del Comune, per non essere costretti a svendere, Linate va limitato pesantemente come già si doveva fare nel ’98. Non è solo una questione di ottimizzazione del sistema aeroportuale milanese, è una questione di danee, i danee dei milanesi che amministrazioni pavide hanno gettato al vento.
Questa sì è svendita e va evitata. La questione di Linate che cannibalizza Malpensa non può essere ulteriormente elusa e il Comune di Milano ha il dovere di affrontarla prima di cedere il controllo di SEA.
Altro problema: con questa seconda tranche il Comune resterebbe proprietario di una quota di minoranza, svalutata. A questo punto che si venda tutto, facendosi pagare il premio di maggioranza e magari insieme alla Provincia, un po’ di euro farebbero bene anche a lei. Meglio agire con tutti i crismi.

3. F2i è il proprietario ideale di SEA?
Il Comune di Milano si è dimostrato dal 1998 un pessimo proprietario di SEA. Il Sindaco Albertini con grande miopia ha scelto il cavallo sbagliato, rifiutando una seria limitazione di Linate mentre ovunque in Europa aveva successo chi chiudeva il vecchio aeroporto al momento dell’ apertura del nuovo. Monaco soprattutto, Oslo, Stoccolma, persino Atene e ora Berlino dimostrano che Milano ha sbagliato, che Albertini ha sbagliato e che la Moratti non ha saputo fare meglio, cedendo alle istanze populiste in una città che aveva una tradizione di lungimiranza.
Il demerito va suddiviso con i pigri cittadini, che hanno rifiutato di fare un piccolo sacrificio per un grande risultato, è giusto che paghino, vendendo SEA a meno di quello che varrebbe.
F2i non può fare di peggio del Comune, anzi il non dover rendere conto all’ elettorato, esattamente come capita al Governo Monti, le permetterà di appoggiare un assetto ragionevole del sistema aeroportuale lombardo.
L’ Assessore regionale ai Trasporti Raffaele Cattaneo si è dichiarato dubbioso sulla privatizzazione di SEA e non ha tutti i torti. Persino negli USA gli aeroporti sono pubblici, il rischio è che il privato munga profitti senza investire adeguatamente, qualcosa che in Italia è già accaduto. Tuttavia il sistema aeroportuale lombardo ha ripercussioni che vanno ben oltre la vecchia cinta daziaria di Milano e forse anche oltre i confini regionali. Al posto del Comune e della Provincia di Milano, anch’ essa desiderosa di monetizzare la propria quota di SEA, sarebbe meglio la Regione come proprietaria, ma gli aeroporti esistono da prima della sua nascita e non ha certo i soldi per acquistare azioni ora.
E’ proprio perché Linate è un problema dei milanesi che il Comune non ha saputo affrontare la questione, azzoppando Malpensa che appartiene ad un’ altra sfera politica. In soldoni, il Comune di Milano è e resterebbe il proprietario sbagliato di Malpensa, ben venga la vendita.

4. Che cosa cambierebbe nel sistema aeroportuale del nord Italia?
F2i ha iniziato la propria carriera aeroportuale rilevando l’ aeroporto di Napoli dalla britannica BAA, ora rivolge le sue attenzioni all’ affollato sistema degli aeroporti del nord Italia, che si svenano per accaparrarsi i passeggeri anche a costo di fare troppe concessioni alle linee aeree. Lungi dal farsi una sana concorrenza, quella che vorremmo favorisse i consumatori, per cercare di mettere a frutto un numero troppo elevato di scali sottoutilizzati, gli aeroporti minori hanno preso la pessima abitudine di pagare le linee aeree che effettuano voli, anziché farsi pagare per i servizi forniti. Questo naturalmente è possibile solo perché la proprietà è di fatto pubblica e il costo del dumping ricade sul contribuente, che applaude un po’ inebetito dalla possibilità di volare spendendo meno che per andare in pizzeria. Ryanair, che l’ altro giorno ha annunciato di essere la prima linea aerea in Italia in termini di passeggeri trasportati, ringrazia per i contributi che riceve.
Come suggeriva il libro bianco commissionato da ENAC e come riafferma il Ministro dei Trasporti Passera, il sistema va razionalizzato, questa concorrenza perversa fra aeroporti va eliminata e F2i può essere la soluzione. Oltre a Milano vuole l’ aeroporto di Torino, ha rinunciato a quello di Genova che da buon ultimo si è rivolto a Ryanair per ottenere a pagamento voli che in condizioni di mercato normale non arriverebbero mai al Colombo, farebbe bingo se riuscisse a rilevare anche Orio e il problematico aeroporto bresciano di Montichiari, che può trovare un ruolo solo all’ interno di un sistema, magari anche Verona, pressata a est dalla SAVE che controlla gli aeroporti di Venezia, Treviso e probabilmente in futuro anche Trieste.
Abbandonando l’ idea da liberismo naif che la massima concorrenza fra gli aeroporti sia ottimale e osservando che nel nord Italia viene fatta da società parapubbliche con soldi pubblici e finalità prettamente politiche, F2i può essere la carta vincente, certo sarebbe meglio che esplicitasse i propri programmi.
p<>. 5. Le conseguenze sindacali
La CGIL non vuole che SEA esca dal controllo pubblico, perché sa che un privato cederebbe immediatamente le attività in perdita dell’ handling. SEA Handling, negli anni d’ oro dell’ hub Alitalia che faceva tornare i conti, ha perso cifre immense, nell’ ordine di un milione di euro alla settimana, prima di essere ricondotta forzatamente verso l’ equilibrio, che ancora deve essere raggiunto, con una energica ristrutturazione che però in una società sotto controllo pubblico non può essere tanto energica quanto sarebbe necessario.
SEA Handling, che ha più dipendenti di SEA vera e propria, è forse il primo datore di lavoro della Lombardia e dunque offre un dividendo politico molto alto, per norma dell’ Unione Europea offre i propri servizi in concorrenza con operatori privati che, è inutile nasconderlo, pagano stipendi inferiori e impongono condizioni di lavoro meno favorevoli. Le compagnie aeree badano principalmente al prezzo e si è innescata una spirale che ha portato verso il basso i lavoratori dell’ handling e ha condotto a situazioni poco chiare anche dal punto di vista penale, come segnala la cronaca degli ultimi giorni.
Il punto di vista della CGIL ha il tipico difetto del sindacato italiano di voler mantenere buone condizioni per i lavoratori di serie A, in questo caso i dipendenti di SEA Handling, mettendo in secondo piano chi lavora per la concorrenza.
CGIL provi a fare fino in fondo il suo mestiere, facendo in modo che siano rispettati i diritti di tutti i lavoratori del settore. Ammetto che è facile per me scriverlo, altra cosa è il mondo reale, dove il rispetto delle regole non è così scontato.

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