Alitalia chiude il volo per Pechino

02 Febbraio 2013 – Marco Giovanniello

L’aeroporto di Pechino diventerà nel 2013 quello con più traffico al mondo, ma per Alitalia non ce n’è ancora abbastanza per tenere in piedi il suo volo da Roma, che verrà dunque chiuso il 4 marzo.

Era l’unica destinazione Alitalia nel continente asiatico a est dell’Iran, fatta eccezione per quella aperta recentemente ad Abu Dhabi come offerta di fidanzamento con la ricca Etihad e che terminerà certo se non si celebrerà quel matrimonio. Restano i voli storici per l’arcipelago giapponese, che resistono anche perché il vettore locale JAL aveva chiuso i voli verso l’Italia nel momento della sua crisi aziendale più acuta.

Per il resto, Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea, Vietnam, Thailandia, Malesia, Singapore, India, insomma per tutta quell’enorme e popolatissima area la cui economia cresce a vista d’occhio, che è irrinunciabile sbocco per le aziende italiane e con cui il traffico aereo è in perenne crescita, Alitalia non esiste.

Non potrebbe esserci segnale più forte dell’irrilevanza della nostra linea aerea e della futilità della scelta di Silvio Berlusconi di mantenerne la proprietà in Italia, anziché promuoverne lo sviluppo, unica cosa che avrebbe trasformato in investimento il grave peso che è stato posto sulle spalle dei contribuenti italiani.

Il traffico aereo fra Europa e Cina è tutt’altro che in crisi, anzi è in atto una gara fra le linee aeree europee e quelle cinesi per aprire nuovi voli diretti. In questo momento è il turno di Chengdu, dopo che da anni si vola non solo per Beijing (Pechino), Shanghai, Hong Kong e Guangzhou (Canton), ma anche verso aeroporti minori come Nanjing (Nanchino), Wuhan, Xiamen etc…

Com’è possibile che Alitalia non riesca a riempire nemmeno l’aereo intercontinentale più piccolo che c’è volando verso l’aeroporto più grande che c’è?

Com’è possibile che, con la globalizzazione in atto, la sua attenzione si sia concentrata sulla Linate-Fiumicino e sull’acquisto della scalcagnata siciliana WindJet?

Tra pochi giorni verrà annunciato con la fanfara “il miglior quarto trimestre” che abbia avuto nella sua breve vita da privata, ma sarà probabilmente frutto di legali quanto inutili sofisticazioni contabili. Quello che conta è che la cassa langue a causa delle continue perdite che nessuno sa fermare, men che meno il nuovo amministratore delegato Andrea Ragnetti, che mi stimola reminiscenze cinematografiche e ormai mi pare “solo chiacchiere e distintivo” nel suo magnificare magnifici bilanci. A giugno aveva addirittura promesso la “guerra alle low cost” e ora si trova piuttosto come “l’ Aretino Pietro, con una mano davanti e l’altra dietro”.

Pare che in tutta fretta i soci presteranno ad Alitalia 200 milioni di euro, altrimenti, dicono le chiacchiere, sarebbero a rischio persino gli stipendi di febbraio. Scaduto da poco il vincolo a non vendere le azioni, dell’acquirente designato Air France non c’è traccia, anzi i transalpini si affannano a smentire in Borsa un acquisto che sarebbe mal visto dai mercati, che negli ultimi mesi invece li hanno premiati per la promessa di disciplina finanziaria.

Air France non ha contante per rilevare le quote dei soci italiani, offrirebbe piuttosto sue azioni a chi invece vuole euro sonanti. Si parla di un intervento della Etihad del ricchissimo Emirato di Abu Dhabi, che comunque non potrebbe mai acquistare la maggioranza, cosa permessa solo a chi appartiene all’Unione Europea.

Dalla cassa suona il GPWS o Ground Proximity Warning System, quell’aggeggio che allarma i piloti quando la quota di volo diventa pericolosamente troppo bassa. Anche se Alitalia è privata, un crash ricadrebbe inevitabilmente sulle spalle dello Stato e dunque, prima che sia troppo tardi, lo Stato, se c’è, deve battere un colpo.

A cercare una rotta fra le nebbie, con sani consigli e non con i nostri soldi, dovrebbe essere il Ministro dei Trasporti, cioè lo stesso Corrado Passera che ha fatto nascere la nuova Alitalia. Prenda atto dell’insuccesso prima che sia troppo tardi.

Da LINKIESTA