Il comune di Milano piazza in borsa SEA?

Se Milano vende in Borsa il 25% di SEA

Marco Giovanniello – 7 settembre 2012

La stampa riporta che è tornata in auge la possibilità che il Comune di Milano, pressato da necessità di cassa, opti per piazzare in Borsa il 25% di SEA, concessionaria degli aeroporti di Malpensa e Linate.
La scelta sarebbe possibile grazie alla recente ripresa delle Borse, mentre i bassi corsi azionari un anno fa avrebbero comportato una svendita, tanto che per vendere la prima tranche di azioni SEA si ricorse al discusso bando che ha portato fra i soci il fondo F2i guidato da Vito Gamberale, ora indagato dalla Magistratura proprio per quell’ acquisto.
La notizia odierna è significativa su come nel nostro Paese le complicazioni legali imposte da norme apparentemente perfette portino a conseguenze opposte a quelle che si prefiggono. Se l’ obiettivo è tutelare gli interessi economici dell’ Ente venditore, la quotazione in Borsa del 25% è quasi certamente la scelta sbagliata.
Un paio di giorni fa la Guardia di Finanza ha perquisito gli uffici della presidenza di SEA, a caccia di prove che il bando 2011 fosse stato “fatto su misura” per F2i. Concesso a fatica il dovuto rispetto all’ operato della Magistratura e della Guardia di Finanza, nel 2011 il Comune aveva bisogno di far cassa, i prezzi in Borsa erano bassi e altra scelta non c’ era che trovare un acquirente privato. La legge impone un bando “cieco”, ma il bando non funzionò, l’ asta andò deserta e si dovette ripeterlo. A me pare logico e non certo reato che si cercasse di farlo gradito all’ unico acquirente notoriamente disponibile, tanto unico che riuscì a vincere l’ asta rilanciando di un solo euro. A parte il tragicomico investitore indiano che presentò l’ offerta fuori tempo massimo, perché nemmeno si era premurato di sapere dove andasse presentata, non c’ era altro compratore a quel prezzo che il fondo F2i, ma si indaga per “turbativa d’ asta”.
Naturalmente la Magistratura deve, per carità, fare tutti i controlli che ritiene necessari, ma così facendo non tutelerà gli interessi economici del Comune venditore, anzi il contrario.
Nessuno ha voglia di un bis, un secondo bando per una seconda asta sarebbero inevitabilmente oggetto di minuziose indagini per il ventennio a venire, quindi appena se ne presenta la possibilità si opta, pare, per la Borsa. È una buona idea? Solo se l’ incasso netto sarà superiore a quello ottenibile da una nuova asta, ma la scelta della modalità risponderà più al bisogno di evitare grane legali ai politici dell’ amministrazione comunale che a quello di massimizzare l’ incasso. Non va neanche trascurato il costo rilevante della quotazione in Borsa.
C’ è poi un aspetto ulteriore, ancora più rilevante. Al momento la composizione azionaria di SEA è:
Comune di Milano 54,81%
F2i 29,75%
Provincia di Milano 14,56%
Altri 0,88%
Vendere il 25% in Borsa vuol dire dare la possibilità a F2i di lanciare successivamente un’ OPA su quel 25%, che porterebbe Gamberale alla maggioranza assoluta, senza che il Comune percepisca un euro per la cessione del controllo, una mossa che nessun privato farebbe mai e poi mai.
Summum ius summa iniuria
Qualche sempliciotto scriverà che, con la quotazione in Borsa, il Comune e la Provincia potranno in futuro vendere facimente le quote residue proprio in Piazza Affari, ma in ogni caso avranno regalato da subito il premio di controllo e, se F2i farà l’ OPA che nessuno può impedirgli di fare, SEA non sarà più quotata e si troveranno con un patrimonio immobilizzato e non liquido. Potranno sperare solo che la gestione di SEA da parte di F2i abbia così successo da aumentare molto il valore di SEA e che questo aumento più che controbilanci la perdita di liquidità e del controllo.
Se si vuole vendere senza rinunciare al premio di controllo, qualcosa che i codici non tutelano, ma che deve essere tutelato comunque dal buon senso e dall’ etica di Pisapia e Tabacci, Il Comune di Milano deve vendere in un solo momento l’ intera quota in suo possesso, possibilmente insieme a quella della Provincia, altrimenti si rispetterà il sommo diritto, ma non l’ interesse economico dei cittadini.
In ogno caso il nostro sistema legale formalistico conduce una volta di più a conseguenze paradossali e negative per la collettività, a cui verrà sottratto qualcosa che le appartiene. Se si volesse veramente massimizzare il ricavo a favore dei cittadini milanesi, che di SEA sono i principali proprietari, si eviterebbe la Borsa e ancor prima si farebbe rispettare il decreto Bersani bis su Linate, il cui sistematico aggiramento, tollerato dal formalismo bizantino e ipocrita dell’ Ente Nazionale Aviazione Civile e del Ministero dei Trasporti, zavorra Malpensa e ne annichilisce il valore.
Ci vuole una spending review che spazzi le ipocrisie e indirizzi anche le energie giudiziarie nella direzione della tutela degli effettivi interessi pubblici, anziché del vuoto formalismo.

Ceterum censeo Linate esse delendam

Da LINKIESTA