Il sottosegretario di Passera lavora per Alitalia?

2 ottobre 2012 – Marco Giovanniello

Chiudendo Linate, “la conseguenza sarebbe la morte di Alitalia”. Lo ha detto il sottosegretario Guido Improta, dirigente di Alitalia in aspettativa e sottosegretario al ministero competente in materia di trasporti, retto da Corrado Passera che da banchiere costruì Alitalia. Che farà il governo?
“Se Linate chiude Alitalia muore”. Così è scritto in una lettera inviata a Sea – gestore degli aeroporti milanesi – dal Cfo di Alitalia Paolo Amato, che il Messaggero ha pubblicato la scorsa settimana e che la compagnia aerea non ha mai smentito. Ieri l’ha ribadito il sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Guido Improta: trasferendo i voli da Linate a Malpensa, «l’unica conseguenza certa sarebbe il collasso economico e finanziario di Alitalia». Molte osservazioni possono essere fatte: la prima è che Improta, così disponibile a lasciar marcire il sistema aeroportuale milanese per non arrecare danno ad Alitalia, non solo è stato ma è tuttora un dirigente di Alitalia, un dirigente collocato in aspettativa. Ma stiamo anzitutto ai dati e ai numeri.
Amato aveva quantificato in 127 milioni annui la perdita che Alitalia avrebbe dalla chiusura o limitazione di Linate. E considerato che la compagnia aerea, nel primo semestre del 2012, ha perso quasi un milione al giorno, la cifra è senza dubbio significativa. Possiamo anche fare due conti e osservare che, passati quattro anni dalla privatizzazione, i 500 milioni lucrati nel frattempo a Linate saranno superiori a quello che è probabilmente il valore attuale di Alitalia.
Tanto si è parlato del conflitto d’interessi di Berlusconi e ora abbiamo, a decidere su argomenti che potrebbero segnare le sorti di Alitalia, qualcuno che vi lavorava prima di entrare al governo e che vi tornerà a lavorare quando il governo Monti avrà concluso la propria esperienza. Siccome l’Italia è il Paese delle formalità inutili, la posizione di Improta è stata pure vagliata dall’Autorità per la concorrenza, che naturalmente non ha avuto nulla da eccepire. E non ci sorprendiamo se la stessa Agcm ha appena deciso che si può fare effettiva concorrenza ai 30 voli quotidiani di Alitalia sulla rotta Linate-Fiumicino con i soli quattro voli che verranno concessi al nuovo operatore.
Com’è possibile che per Alitalia Linate sia un aeroporto così redditizio e irrinunciabile? La fusione del 2008 con AirOne, a cui il governo Berlusconi concesse da subito tre anni di esenzione dalle norme antitrust, le ha permesso di controllare una percentuale eccezionalmente elevata di slot, cioè dei diritti di decollo e atterraggio. Oltre a questi, il monopolio sulla rotta per eccellenza, quella per Roma, che solo ora verrà leggermente intaccato, il quasi monopolio delle altre rotte nazionali e la possibilità di aprire due navette verso gli scali amici di Parigi e Amsterdam che «aspirano» gran parte del traffico intercontinentale lombardo a scapito di Malpensa, un «aspiratore» che arricchisce le compagnie straniere Air France e Klm da cui Alitalia percepisce una modesta percentuale.
Per finire c’è la tolleranza della situazione per cui, nonostante il decreto che dovrebbe regolare l’uso di Linate consenta a ogni compagnia aerea un uso limitato di Linate, ad esempio di volare a Napoli non più di due volte al giorno, Alitalia lo fa non due e nemmeno tre o quattro, ma dieci volte al giorno fingendo che i voli siano effettuati da cinque compagnie differenti, quando in realtà aerei ed equipaggi sono tutti Alitalia e i biglietti sono venduti solo da Alitalia, che incassa tutti i ricavi e sopporta tutti i costi.
Sulle altre rotte da Linate Alitalia fa lo stesso e, per evitare che i vettori stranieri facciano ricorso a Bruxelles, si tollera che a loro volta prelevino passeggeri da Linate ben oltre quel limite che era stato fissato per consentire a Malpensa uno spazio vitale: Lufthansa vola cinque volte al giorno a Francoforte anziché due, British Airways a Londra cinque anziché tre, Iberia a Madrid due volte anziché una.
Alitalia gode anche del fatto che, con questa gestione disinvolta di Linate, a Malpensa non resta abbastanza mercato per effettuare tanti voli intercontinentali che sottrarrebbero traffico ai suoi da Fiumicino e a quelli di Air France e Klm dai rispettivi hub. Ancora è bene osservare che quei 127 milioni che Alitalia asserisce di guadagnare dall’attuale assetto di Linate sono a tutti gli effetti un’imposizione, una rendita a carico dei passeggeri che volano da e per Milano.
A parte la quantificazione, la messa in secondo piano degli interessi dei viaggiatori rispetto a quelli di Alitalia non è però una novità, di nuovo c’è solo che non lo si nasconde più. Resta da capire se questa somma di sacrifici a carico del sistema aeroportuale lombardo e dei suoi utenti sia inevitabile e se soprattutto il gioco valga la candela, cioè se ne risulta un’Alitalia grande e forte, che collega l’Italia al resto del Mondo e genera tanti posti di lavoro.
La risposta non può essere positiva. I tre anni di esenzione antitrust sono diventati già quattro e tendono all’ infinito, perché l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha solo ora proposto, come unico correttivo concorrenziale alla fusione Alitalia-AirOne, che Alitalia ceda un numero così scarso di slot sulla Linate-Fiumicino che il nuovo entrante non riuscirà a far abbassare i prezzi sulla rotta, né ad accaparrarsi i clienti migliori. Alitalia manterrà il pieno controllo della fascia più alta e redditizia della clientela, che paga per avere la scelta fra tanti orari e questi tanti orari potrà avere in futuro solo da Alitalia. In tutte le altre rotte, da Linate come da Fiumicino o da altri aeroporti nulla cambierà.
Dopo quasi quattro anni Alitalia certo non è più il carrozzone parastatale inefficiente che era prima, la flotta è stata rinnovata con aerei moderni, più comodi, più parchi nei consumi e decisamente meno rumorosi. Il sindacato ha smesso di proclamare scioperi selvaggi che appiedavano i passeggeri, la regolarità dei voli è eccellente, ma i conti non tornano, in rosso erano e in rosso restano. Nell’ hub di Fiumicino evidentemente si perdono valanghe di denaro, se nonostante i 127 milioni della rendita annua di Linate i conti del vettore sono inesorabilmente in perdita.
La rete di collegamenti è striminzita, anche quest’ inverno Alitalia volerà solo in due aeroporti Usa, a New York e a Miami, tanto da Roma che da Milano, dimostrando che nell’ hub della capitale non riesce a far meglio che a Malpensa, dove riempie gli aerei solo con il traffico locale. Ci sono ancora migliaia e migliaia di dipendenti in cassa integrazione e dal 2008 non c’è stato alcuno sviluppo, Alitalia era e resta un piccolo vettore, nei voli intercontinentali ha la stessa dimensione di Swiss, che serve un piccolo Paese di otto milioni di abitanti anziché sessanta.
Il business model di Alitalia ha dimostrato di essere sbagliato, sia l’azienda che il suo referente nel governo ammettono che la compagnia, basata a Roma, non starebbe in piedi senza la rendita che le viene garantita a Milano e che sarebbe arduo credere eterna. Un’analisi errata ritenne che le perdite derivassero da Malpensa, che in realtà non le provocava in sé, ma perché subiva gli effetti nefasti di Linate. Da qui la scelta di ritirarsi a Roma con un network ridotto e una flotta ridotta, mettendo a terra molti aerei e in esubero migliaia di dipendenti, lasciando ai concorrenti quella fetta di mercato lombardo che non si poteva sfruttare a Linate. Il ricco mercato intercontinentale del nord Italia veniva lasciato nelle mani di Air France, che si sperava avrebbe acquistato l’intera Alitalia nel 2013 e così garantito esito positivo all’ investimento dei soci italiani.
Air France non comprerà Alitalia, se non per un tozzo di pane e la strategia aziendale sbagliata di puntare sul rimpicciolimento, anziché sulla crescita in un settore in cui le economie di scala sono fondamentali, dà i suoi frutti avvelenati. Alitalia non può rinunciare alla rendita di Linate né potrebbe avvantaggiarsi di Malpensa, qualora levando dai piedi lo scalo cittadino Malpensa diventasse finalmente un aeroporto redditizio, perché non ha più abbastanza aerei, né gli attuali soci hanno intenzione di investire un solo centesimo e pensano solo a rientrare dall’ investimento.
Alitalia vuole difendere lo status quo a Milano non perché sia ottimale, ma perché le permette di sopravvivere ancora per qualche tempo senza investire, senza cambiare, senza “imprendere”, ma vivendo di rendita come i latifondisti. Se Malpensa non fosse azzoppata da Linate Alitalia potrebbe crescere, aprirvi nuovi voli intercontinentali, alimentati da quel network di voli di breve medio raggio che ora fanno capo all’ aeroporto cittadino. La rotta per San Paolo rendeva anche senza feed ed è stata inopinatamente chiusa. Toronto sarebbe sicuramente fattibile, i voli per New York, Miami e Tokyo potrebbero diventare giornalieri, altri dei partner SkyTeam potrebbero arrivare in brughiera, forti delle connessioni che vi troverebbero, tutti voli da cui Alitalia guadagnerebbe. Altri voli ancora diventerebbero economicamente possibili e Alitalia potrebbe richiamare tanti dipendenti dalla Cassa Integrazione, anziché esportare occupazione, passeggeri, fatturato, profitti e tasse in Francia e Paesi Bassi.
Il governo non deve ascoltare le parole miopi del sottosegretario Improta. Se chiudendo Linate questa Alitalia non sopravvivrebbe la soluzione non è mantenere a Linate una rendita che sopperisca agli insuccessi dell’azienda: anche perchè non può durare in eterno.
La soluzione è “Do the Right Thing”, fare sempre la cosa giusta, iniziando col sistemare in modo logico il sistema aeroportuale lombardo, in modo che possa essere sfruttato pienamente e non solo dagli stranieri, la soluzione è obbligare Alitalia a crescere, innanzitutto a Milano, ma anche a Roma.
Se questa Alitalia non regge questa Alitalia deve diventare un’altra Alitalia, che all’interno di una indispensabile collaborazione con partner esteri non abbia però ruoli che paiono più umilianti che subalterni e che alla fine dei conti producono perdite. Non si può più credere alla boutade di Berlusconi sull’ italianità di Alitalia e sulle sue magnifiche sorti e progressive. Alitalia ora è solo la schiava di Air France, cui regala il proprio mercato e non ha futuro. Il tempo che le resta, prima dell’ ineluttabile fallimento, non va sprecato nel godimento di una comoda rendita.
Sarà vano puntare sull’ allargamento del mercato domestico, cercando di acquistare ieri WindJet, oggi Meridiana, perché il mestiere di un vettore tradizionale o network carrier è appunto fare transiti, nei voli provinciali verrà sempre sconfitto dalle low cost. Turkish, pur con vantaggi di cui Alitalia non potrebbe godere, è cresciuta enormemente negli ultimi anni, accaparrandosi gran parte di quel mercato mediterraneo a cui Alitalia ha pigramente rinunciato. La nuova Roma di Costantinopoli ha surclassato Roma.
Se gli attuali soci non vogliono o non possono finanziare la crescita, non si deve dare loro corda, prorogare le rendite, bisogna indicare loro la porta di uscita. Era troppo comodo il gioco del portage con la vendita successiva ad Air France che è sfumata. I passeggeri e i dipendenti in Cassa Integrazione non devono salvare l’ investimento sbagliato dei capitani coraggiosi e il Paese non deve restare intrappolato in una compagnia di bandiera che, invece di servirlo, pretende di dettare legge.
Qualsiasi cosa possa accadere ad Alitalia in futuro, restare immobili mentre le perdite si accumulano e la cassa scende inesorabilmente non è la scelta corretta. Pretendere, agitando lo spettro dei licenziamenti, che il sistema aeroportuale lombardo resti lo schifo che è non ha senso.

Da LINKIESTA