Di Marco Giovanniello
Alitalia avrà da marzo un nuovo Amministratore Delegato e sarà l’australiano Cramer Ball, attualmente a capo dell’indiana Jet Airways, altro gracile fiore della collezione di vettori sofferenti di Etihad, la linea aerea del ricco emirato di Abu Dhabi che ha il 49% di Alitalia.
Dopo l’obolo di prammatica versato agli head hunters, per far sembrare che si trattasse di un processo di ricerca scientifico, sorpresa abbiamo un uomo di fiducia di James Hogan, l’australiano a capo di Etihad. In verità lo era anche Silvano Cassano, accompagnato alla porta dopo nove mesi con 2,4 milioni di buonuscita e da allora scomparso dai radar. Cassano però era un amico di Hogan dai tempi giovanili di Hertz autonoleggio e non aveva alcuna esperienza di aviazione, così come Ariodante Valeri messo a capo del commerciale.
Brave persone probabilmente, ma assolutamente insufficienti a risollevare un’Alitalia che, pur nel migliore anno per l’aviazione che ricordiamo da tempo, anche per effetto del crollo del prezzo del carburante, registra puntualmente un mare di perdite.
Cassano era italiano e serviva a garantire la pantomima per cui Alitalia sarebbe sotto il controllo degli Italiani, perché così prescrivono le norme UE che molti sperano di cancellare. 51% agli Italiani vuol dire però che le risorse finanziarie bruciate dalle perdite vanno ripianate per il 51% dagli Italiani e i candidati al sacrificio, dopo lo Stato che non può più intervenire per divieto di Bruxelles, i risparmiatori spennati in Borsa, i capitani coraggiosi capitanati da Colaninno e le banche di sistema, UniCredit e Intesa, che con le Poste “hanno già dato”, nella sfera di cristallo s’intravede forse solo la Cassa Depositi e Prestiti di cui per tempo si è modificato lo statuto, rimuovendo il vincolo a investire solo in aziende che guadagnano.
Le norme UE prescrivono che non solo il controllo azionario resti in mano a soggetti comunitari, ma anche quello manageriale e Cassano aveva il passaporto giusto, Cramer Ball no, salvo che avendo moglie italiana non se lo procuri, ma probabilmente a Bruxelles si chiuderà un occhio o anche due, magari tre visto che il manager viene recuperato dall’India.
Al contrario dei dilettanti più o meno dotati, che si sono susseguiti al timone di Alitalia negli ultimi quindici anni, Ball è uno del mestiere, ma se può vantare di aver raddrizzato la piccola Air Seychelles, in India non è andato oltre un modesto zero a zero.
Riuscirà Ball a raddrizzare Alitalia? Aspettiamo e vediamo. Molto dipenderà da quanto sarà lasciato libero di incidere su una struttura incancrenita da cui i migliori sono fuggiti da tempo e ora sono top manager di Aeroflot, di Iberia o degli aeroporti. Ad Alitalia bisogna fare piazza pulita e potremo pensare che si è imboccata la strada giusta se vedremo ad esempio in uscita l’onnipotente Giancarlo Schisano, che forse ricorderete mentre, proprio davanti ai rottami dell’ATR uscito di pista a Fiumicino il 2 febbraio 2013, dichiarava impassibile alle telecamere dei TG che nonostante avesse i colori di Alitalia era della romena Carpatair, cosa che i passeggeri probabilmente nemmeno sapevano.
Schisano per sopravvivere si è alleato con il presidente Luca Cordero di Montezemolo, sempre alla ricerca di un ruolo e di visibilità, dopo essere stato scaricato dalla Ferrari e come vicepresidente di UniCredit sponsor del ben poco proficuo intervento della banca nell’azionariato di Alitalia, cosa che il vecchio AD Profumo si era ben guardato dal fare, lasciando onore e soprattutto onere a Intesa e a un Passera già alla ricerca di consenso nel mondo politico in cui voleva entrare.
Alitalia perde come sempre, anche quando come ora gli altri guadagnano, all’attivo è doveroso registrare un deciso miglioramento nel servizio di Business Class nei voli intercontinentali, ma la sua posizione competitiva è debolissima. A Roma e a Milano si difende con l’ereditato controllo degli slot di Fiumicino e Linate, senza i quali sarebbe spazzata via come le è successo in pratica in tutti gli altri aeroporti italiani, che vedono le low cost crescere e gli altri concorrenti prosperare.
Etihad, spalleggiata dalle enormi ricchezze di Abu Dhabi, cerca di trovare la sua ragion d’essere nel controbattere quella Emirates del vicino Dubai che la surclassa. Ha comprato quello che c’era in vendita, gli avanzi, qua e là per il mondo, creando un’antologia fra il mediocre e l’orrore e ad esempio in Italia si era illusa che il legame con Alitalia le avrebbe permesso di raccattare passeggeri a Bologna e Catania per portarli ad Abu Dhabi, ma dopo tanti annunci, tanto fumo e niente arrosto, la rivale Emirates ha in breve tempo aperto il volo Bologna-Dubai con un aereo così grosso e offerte imbattibili, che del futuro volo Alitalia/Etihad Bologna-Abu Dhabi sono sparite le tracce anche nei baldanzosi proclami del presidente Luca Cordero di Montezemolo e a Catania, ahimé, non si possono certo trovare gli industriali desiderosi di volare in First Class che Emirates ha trovato a Bologna, insieme a quelle belle Ferrari, tanto care a Luca, da trasportare a Dubai e smistare per l’Asia. Da Venezia non arrivano notizie migliori, il volo per Abu Dhabi non va. Resta oltre a Roma Fiumicino l’aeroporto di Milano Linate, da cui con l’aiutino di Renzi Alitalia fa concorrenza alle low cost confinate a Malpensa e Orio, nel settore dei voli a medio raggio punto a punto in cui la profittabilità, per un vettore tradizionale, può essere l’eccezione, ad esempio se si portano i banchieri milanesi al piccolo London City, dove le low cost non possono atterrare, che conferma la regola che vede il vettore tradizionale perdere inesorabilmente.
Fiumicino è indietro anni luce nel processo di diventare un aeroporto di standard europeo, perché per un decennio Alitalia ha preteso dal Governo e ottenuto che si pagasse poco e i Benetton, che non sono propriamente una ONLUS, per tutta risposta hanno investito il meno possibile e costruito allo stesso ritmo a cui tesseva Penelope.
Roma ha un grande traffico turistico, che però rende poco e latita nei mesi invernali, quando non c’è modo di riempire gli aerei senza vendere biglietti in perdita. Il traffico d’affari intercontinentale in uscita, su cui si reggono tutti i vettori europei, semplicemente non c’è, così come è irrisorio il traffico merci, perché le fabbriche che esportano e la popolazione che consuma beni importati stanno a nord.
Per quanto riguarda i transiti, Roma è mal posizionata per chi dall’Europa o anche solo dal nord Italia sia diretto nel Nordamerica e il potenziale verso sud e sudest Asia, est Africa non può essere sfruttato per non ledere Abu Dhabi.
Nessun Cramer Ball potrà cambiare la geografia e si dovrà vedere se Alitalia continuerà a fornire in cambio di spiccioli i suoi passeggeri a Air France e KLM, con cui è legata sul mercato nordatlantico addirittura fino al 2022.
La soluzione che forse si intravede per Alitalia è l’ottenimento di una deroga alla regola UE che consente il controllo soltanto a soggetti comunitari e il continuo ripianare le perdite da parte del generoso Emiro di Abu Dhabi, magari facendogli qualche gentile omaggio come rilevare un vecchio quadrimotore antieconomico che Renzi userebbe come Palazzo Chigi volante.
Auguriamoci che Cramer Ball abbia successo, altrimenti potremmo scoprire che l’Emiro si è stufato del giocattolo in perdita.