Etihad-Alitalia, salvataggio sacrificando Malpensa?

Etihad-Alitalia, salvataggio sacrificando Malpensa?
Le voci di un sacrificio di Malpensa a fronte dell’impegno di Etihad nel salvataggio di Alitalia, si fanno di giorno in giorno sempre più consistenti. A nulla possono valere le fumose e sibilline prese di posizione di Pisapia ( sindaco di Milano azionista di maggioranza di SEA) del ministro Lupi, e di tanti altri.

Per inquadrare la faccenda riportiamo da “LINKIESTA” due articoli che illustrano nel modo più esaustivo tutta la faccenda nelle sue diverse sfaccettature.

Etihad-Alitalia: così si sparge sale su Malpensa

*Dietro Etihad rimane l’interesse del suo alleato Air-France. Per Malpensa sarebbe un colpo mortale
Marco Giovanniello*

Enrico Letta fa il miracolo ad Abu Dhabi e riesce a vendere Alitalia all’Emiro e alla sua Etihad. Questi i titoli dei giornali. In realtà si è trattato di una commedia già scritta, le trattative erano in corso da più di due anni, mentre le banche aumentavano continuamente i fidi e il debito di Alitalia superava i due miliardi di euro, inspiegabili perché la flotta è in leasing.
Air France, che le anime belle credevano che avrebbe comprato il 75% di Alitalia che le mancava, allo scadere del vincolo quinquennale, fissato a suo tempo da Silvio Berlusconi per vantare una finta italianità, è fuggita dal tavolo delle trattative nello scorso settembre, lasciando le banche con il cerino in mano e costringendole a partecipare a un aumento di capitale d’emergenza organizzato dalla premiata ditta Enrico e Gianni Letta snc, che dal 2001 coltivava con costanza l’alienazone della nostra compagnia di bandiera a favore dei francesi.
Da settembre Alitalia ha perso molti soldi, ma nelle sue casse sono entrati 300 milioni di euro italiani, compresi quelli delle Poste e quelli di Intesa e UniCredit, risarcite dal Governo con la favorevole vendita delle quote di Banca d’Italia. C’è un nuovo acquirente arabo, che in realtà era pronto già prima, e nascosta dietro Etihad c’è sempre Air France. Le condizioni “inaccettabili” dei francesi sono poco sorprendentemente le stesse dell’Emiro, che in realtà pretende ancora di più.

Sotto la sapiente regia del Governo gli italiani sono stati buggerati. Etihad e Air France-KLM da tempo hanno molti accordi di collaborazione, prima o poi Alitalia sarà un loro condominio, con il traffico verso l’Asia che passerà per Abu Dhabi e quello verso le Americhe che continuerà a passare attraverso Parigi e Amsterdam. A Roma Fiumicino, il cosiddetto grande hub di cui la retorica governativa vanterà il salvataggio, resterà qualche volo intercontinentale come onore della bandiera.
Con la scusa di salvare i residui posti di lavoro di Alitalia, si salvano gli interessi delle grandi famiglie mescolate con la politica, i Colaninno che comandano in Alitalia nonostante l’abbiano gestita con risultati da corte marziale e i Benetton, sfortunati proprietari degli Aeroporti di Roma. Alla vigilia di una nuova tornata d privatizzazioni, scopriamo che abbiamo fatto peggio di Eltsin: quando le privatizzazioni non funzionano sono gli Italiani a pagare il conto, innanzitutto con i due euro di supplemento su qualsiasi volo in partenza da un nostro aeroporto, destinati a pagare l’oscena Cassa Integrazione per i dipendenti Alitalia, 80% dello stipendio, anche quello altissimo dei piloti, per un periodo che supera sette anni.

Strategica, aldilà delle ciance governative, non è Alitalia, ma la connettività aerea. Alitalia ha solo il 16% dei passeggeri italiani, se sparisse danneggerebbe Colaninno, Benetton, i suoi dipendenti, ma quasi tutti i suoi voli verrebbero rimpiazzati in pochissimo tempo dai concorrenti, che anzi a Fiumicino andranno a rimpiazzarla anche se resta in vita.

Un Governo di livello accettabile per uno dei Paesi più ricchi del pianeta si preoccupa della possibilità di volare il meglio possibile verso tutto il mondo, soprattutto ora che la globalizzazione impone di trovare clienti e turisti ovunque. I passeggeri nel nostro Paese sono all’incirca un terzo a Roma, in gran parte turisti, un terzo a Milano, con maggior peso dei viaggiatori d’affari, un terzo nel resto degli aeroporti. Finora si è giustificato il limitato numero di voli intercontinentali a Roma con l’impossibilità di Alitalia di espandere la flotta. Etihad ha invece ordinato un numero impressionante di aerei, con una parte dei quali potrebbe ben servire tutte le nostre esigenze. Avremo dunque a Roma voli per ogni destinazione, come succede a Londra, Parigi, Amsterdam e Francoforte? Li avremo a Milano?
Nessuna illusione, l’Italia resterà solo una miniera di passeggeri, che voleranno su aerei altrui arricchendo padroni stranieri. Letta non si è minimamente curato di chiedere e ottenere garanzie da Etihad, come fece invece l’Olanda quando KLM si unì ad Air France e come fece la Svizzera, quando Swiss fu rilevata da Lufthansa.

Roberto Maroni oggi ha dichiarato pubblicamente che Alitalia pretende la super-liberalizzazione di Linate, aeroporto la cui pista è troppo corta perché decollino voli intercontinentali. Malpensa ne sarebbe definitivamente e mortalmente colpita,
Il Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni Il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia
il nord Italia dipenderebbe per l’eternità da hub stranieri, pur godendo già il solo Nord-Ovest di una massa di passeggeri potenziale che è tra le prime cinque in Europa. Non si capisce perché Etihad dovrebbe volere la rovina di un aeroporto, quello di Malpensa, in cui vola da anni, sia con voli passeggeri che con voli cargo, mentre si fidanza con Alitalia a Roma che non ha mai incluso nelle sue destinazioni. La spiegazione è che dietro c’è il partner nascosto Air France, che vuole spargere sale sulla potenziale concorrente Malpensa e già ispirò il ritorno a Roma di Alitalia. Allora si diceva che Alitalia perdeva a causa di Malpensa, ma Alitalia a Roma è fallita nel 2008 e viene salvata da un secondo fallimento oggi, nonostante l’incredibile serie di favori concessi dal Governo Berlusconi ovverosia da Gianni Letta.
Roberto Colaninno Presidente di Alitalia Matteo Colaninno ,figlio di Roberto,responsabile economico del PD
p<>. La troupe di pseudo-capitalisti a caccia di guadagni garantiti, capitanata da Roberto Colaninno il cui figlio Matteo è responsabile nazionale per l’Economia del Pd, ha messo in Alitalia manager di così basso livello che riescono, pur di distruggere Malpensa e favorire il ritorno di Air France, che li rimborsi di qualche euro ulteriore, a combinare un pasticcio da dilettanti allo sbaraglio.

Etihad è in concorrenza con Emirates, Qatar Airways e Turkish Airlines per i passeggeri verso l’Asia, con i vettori europei poco concorrenziali e fuori gioco in quelle rotte. Consentendo, come chiede Alitalia, che si possa volare da Linate a una serie di aeroporti ora vietati, quale ad esempio Istanbul, Turkish Airlines acquisirebbe l’enorme vantaggio di far partire da Linate i suoi quattro voli giornalieri, con Etihad e gli altri del Golfo relegati nel deserto di Malpensa. Che cosa dunque guadagnerebbe Etihad da questa astuta mossa?
Si può essere più incompetenti e più ipocriti? No, solo selezionati geni arrivano a questi vertici, gli stessi geni che hanno perso miliardi e ora pretendono il rimborso, che costerà il posto a migliaia di lavoratori lombardi e metterà il cuore economico del Paese in seconda fila, schiacciato sotto le assurde pretese di Air France, che ancora finge di essere fuori dalla partita Alitalia.
Mercoledì il Consiglio Regionale lombardo voterà una mozione di tutte le forze politiche contro la liberalizzazione di Linate, che non andrebbe a vantaggio di Alitalia, non andrebbe a vantaggio di Etihad, ma andrebbe solo a vantaggio dei francesi, che, come ai tempi funesti del cinico “Franza o Spagna, pur che se magna”, hanno trovato nella politica e nella peggiore imprenditoria nostrane chi difende i loro interessi a danno degli interessi dell’Italia.
Etihad è il migliore acquirente possibile per Alitalia, mancando qualsiasi altro. Battute a parte, ha soldi e un management di primo livello. Gli affidiamo una parte strategica del Paese, ma quando ci si vuole rialzare in piedi non ha senso amputarsi una gamba. Etihad ha le risorse per sviluppare nel tempo entrambi i grandi aeroporti del nostro Paese, portandoli almeno al livello di quello di Zurigo, che conta su un Paese di soli 8 milioni di abitanti.
Poi non stupiamoci se la nausea spinge l’elettorato a votare partiti anti-sistema parafascisti, con un’ élite che, se non è corrotta, è demente, altro non può succedere. Ora godiamoci l’estremo schifo del vedere il Governo Letta disposto a fare qualsiasi cosa purché si salvi la società di cui Matteo Colaninno, Responsabile nazionale per l’Economia del partito di maggioranza, è comproprietario insieme ai familiari.

NEL FORUM SEGUIAMO L’EVOLVERSI DELLA SITUAZIONE QUI

Cari politici, abbiate coraggio e chiudete Linate

Etihad in Alitalia ed Expo 2015Cari politici, abbiate coraggio e chiudete LinateIn 10 anni è peggiorata la connettività internazionale del Nord. Il danno di abbandonare MalpensaFabrizio Patti e Antonio Vanuzzo

Aggiornamento 6 febbraio 2013
_Etihad vuole Linate. Secondo rumors di stampa la compagnia emiratina che sta concludendo la due diligence su Alitalia starebbe pensando di puntare sul city airport milanese per sfruttare gli slot di fatto “liberati“ dal più competitivo treno nella rotta Milano-Roma. L’idea sarebbe sfruttare Linate per convogliare nell’hub di Abu Dhabi i passeggeri diretti in Asia. D’altronde non è una novità che lo scalo meneghino sia già sfruttato da Air France (e in parte minore Lufthansa) per

dirottare traffico e risorse sull’hub di Parigi (e Francoforte). Questo articolo spiega come la decisione di desertificare lo scalo varesino di Malpensa abbia peggiorato in dieci anni il tasso di connettività diretta intercontinentale del nord Italia, l’area più ricca e produttiva del paese. Alla vigilia di Expo 2015. Il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi ha rassicurato sull’impegno di Etihad per lo sviluppo di Malpensa, ma l’unico modo per spingere in questa direzione in realtà è di chiudere, o comunque contingentare fortemente, Linate. Non di potenziarlo…_

Non c’è alternativa: per trasformare l’aeroporto di Milano Malpensa in hub intercontinentale bisogna chiudere Milano Linate. Niente di nuovo, lo si dice solo da quindici anni. Ne parlano tutti, tranne i politici. Per loro l’argomento è tabù,

nonostante l’Expo 2015 si avvicini e la mancanza di connettività di Milano e del nord Italia sia sempre più evidente. Un danno per le imprese, il turismo e la mobilità complessiva di una delle aree più ricche d’Europa.
A quanto risulta a Linkiesta, nemmeno il nuovo consiglio d’amministrazione di Sea, la società che gestisce entrambi gli scali meneghini, ha ancora affrontato il tema. In effetti ci vuole coraggio per mettersi contro non solo i milanesi, abituati alla comodità dello scalo a due passi da casa, ma soprattutto le lobby delle compagnie aeree internazionali, che non hanno mai ringraziato abbastanza per quanti passeggeri ogni giorno partono dal city airport milanese in direzione Francoforte, Londra Heathrow o Parigi Charles De Gaulle verso l’Asia o gli Stati Uniti. Creando ricchezza e posti di lavoro.

Un calcolo interno al management di Malpensa stima che un milione di passeggeri genera tra gli 800 e i 1.300 dipendenti soltanto nell’area aeroportuale, senza cioè considerare l’indotto e i servizi di trasporto. Tant’è che il rapporto, nello scalo varesino, è 18 milioni di passeggeri – 15mila occupati. Peccato che, senza i cosiddetti voli “feeder”, a raggio nazionale, sia difficile raggiungere una sostenibilità economica alimentando soltanto i voli intercontinentali, il cui tasso di riempimento dipende dalla destinazione: un conto è New York o Tokyo, un altro è Vancouver. Aprire nuove rotte intercontinentali, poi, ha un costo non indifferente: un aereo costa tra 200 e 300 milioni di euro, più 60 milioni di spese vive l’anno, tra personale e tariffe aeroportuali. In altre parole, per svilupparsi, Malpensa deve tornare a essere un hub, raccogliendo i passeggeri dagli aeroporti italiani minori.

Ma è una prospettiva lontanissima. Nel 2008 l’addio di Alitalia ha di fatto messo la parola fine alle speranze di Malpensa di portare i milanesi nel mondo. I dati di giugno 2013 di Assaeroporti evidenziano 14.809 movimenti, un calo del 7,5% rispetto a giugno 2012, con 1.660.202 passeggeri (–1,5% su giugno 2012).

Non ci sono soltanto gli interessi delle altre compagnie di bandiera straniere, o meglio, delle alleanze Air France-Klm e British Airways-Iberia a mantenere lo status quo. Un altro storico ostacolo è la nuova Alitalia, che ha abbandonato Malpensa. Tra gli altri, per un motivo spesso sottaciuto: nel Lazio il vettore assieme al gestore Adr, il sistema aeroportuale di Fiumicino produce il 10% del Pil. Risultato: oggi per volare da Milano a Johannesburg si parte da Linate e si fa scalo a Francoforte. Ovvero si va a nord per poi dirigersi a sud. Non solo. Dallo scorso luglio Linate è entrata in concorrenza diretta con Malpensa. Le linee guida del piano industriale presentate dall’amministratore delegato di Alitalia Gabriele Del Torchio prevedono infatti l’apertura di 9 nuove rotte per Copenaghen, Budapest, Vienna, Stoccolma, Helsinki, Malta, Tallinn, Praga e Varsavia. Non una parola sullo sviluppo di Malpensa. Apparentemente insensata, la logica del potenziamento di Linate sull’estero dipende dall’obbligo di occupare gli slot attivamente, sancito dal Regolamento CEE 95/93, in caso contrario vanno assegnate ai rivali.
Sempre le linee guida del piano industriale evidenziano la necessità, entro fine anno, di iniettare risorse fresche per 355 milioni di euro. A distanza di quattro anni dal salvataggio, i soldi sono finiti di nuovo e in questi giorni è sbarcato a Roma il top management di Etihad Airways per capire se ci sono i margini per entrare nell’azionariato dell’ex compagnia di bandiera. E se chiedessero di “re–hubbizzare” Malpensa chiudendo Linate?
Sarebbe un’occasione insperata di ritornare ad avere un vettore con qualche interesse a far crescere Malpensa. Questa volta non si dovrebbero ripetere gli errori del passato, con le occasioni perse – e i regali ai concorrenti europei –

dovute alla straordinaria miopia della classe politica e imprenditoriale (a partire dai commercianti), incapaci di capire quanto la cannibalizzazione di Linate su Malpensa avrebbe danneggiato l’intero sistema economico del Nord. Nel 2000 l’olandese Klm ruppe l’alleanza con Alitalia, siglata tre anni prima, proprio a causa del city airport, dopo avere investito su Malpensa 200 miliardi di vecchie lire. Non importa se nel 2003 avrebbe poi pagato ben 150 milioni di euro di penali. Stesso discorso, anni dopo, fece Lufthansa Italia: nel “Piano Scala” l’obiettivo era trasformare Malpensa nel quarto hub tedesco. Piano messo nel cassetto dopo pochi mesi, nel luglio del 2009. In un’intervista rilasciata all’epoca al Sole 24 Ore, l’amministratore delegato Christoph Franz fu esplicito: «Naturalmente il fatto che rimangano aperti due aeroporti vicini ha un impatto sul business. Linate non sarà chiuso e quindi non c’è la prospettiva di dare una buona offerta da Malpensa per la clientela che vola per affari».
Storia di un autogol
Ma come si è arrivati a questa situazione assurda? Per capirlo viene in aiuto la ricostruzione che ha fatto uno studio di The European House Ambrosetti. Il punto di partenza è il 1994, quando il progetto Malpensa 2000 venne inserito nella lista dei 14 progetti infrastrutturali prioritari della Commissione europea per la realizzazione delle Trans European Network (progetti Ten–T). Si sviluppò a quel punto un vero piano industriale, che prevedeva due pilastri: da un lato la realizzazione di Malpensa 2000, un grande hub del sud Europa concorrente a Parigi e Francoforte; dall’altro un riassetto economico e proprietario di Alitalia che la portasse a essere un grande vettore europeo. Era l’«unione perfetta» con l’olandese Klm che sarebbe stata, infierisce lo studio, «un’irripetibile opportunità di sviluppo economico e occupazionale». Sarebbe infatti nata «la più più grande compagnia aerea europea e Malpensa sarebbe potuta diventare un hub da 40 milioni di passeggeri».
Tra questa visione e la realtà dei fatti si sono però inseriti «la debolezza del sistema paese nel difendere il progetto Malpensa 2000, con i ritardi nella realizzazione della rete di accesso aeroportuale, i conflitti di interesse tra Roma e Milano, tra governo centrale e locale, e più in generale una miopia strategica e di sistema concretizzatasi attraverso scelte di breve termine anziché strategie con obiettivi di lungo periodo».
Il primo passo era stato in realtà lungimirante: tra il ’97 e il ’98 il primo decreto Burlando prevedeva la riduzione ai minimi termini di Linate, con il trasferimento a Malpensa di tutti i voli con meno di 2 milioni di passeggeri all’anno o con una media di 1,75 milioni nei tre anni precedenti. Qualcosa di molto simile a quanto fatto a Parigi nello scalo di Orly, per favorire lo sviluppo del Charles de Gaulle. A Monaco la decisione fu più drastica, con la chiusura del vecchio aeroporto all’apertura del nuovo.
Il decreto Burlando fu impugnato dalle compagnie europe e la Commissione europea accolse il ricorso (salvo poi tornare sui propri passi nel 2000), rilevando elementi di discriminatorietà a favore di Alitalia. Ci fu il primo cedimento e fu emanato il secondo decreto Burlando, che stabiliva il trasferimento a Malpensa del 66% dei voli per tutti i vettori, a partire dal 15 dicembre 1999. Anche in questo caso ci fu un ricorso – da parte di Air One – ma l’autogol più clamoroso venne da un ministro italiano. Edoardo Ronchi, dei Verdi, allora al dicastero dell’Ambiente, chiese e ottenne un apposito decreto per rimandare il trasferimento dei voli, per un riesame dell’impatto ambientale del progetto Malpensa 2000.
Fu così che il 14 dicembre 1999, a poche ore dallo spostamento dei voli da Linate a Malpensa, il governo annunciò che quel trasferimento non ci sarebbe stato. A quel punto Klm decise di ritirarsi dalla fusione con Alitalia, lasciando la compagnia sola ed esposta alla concorrenza internazionale.
I tentativi di regolamentazione successivi portano il nome di Bersani. E se il suo primo decreto avrebbe effettivamente ridimensionato Linate, il secondo (adottato nel 2001 dopo ulteriori ricorsi delle compagnie straniere) fu frutto di una mediazione tra molteplici interessi. Ne fu inoltre tollerata un’interpretazione estensiva che ha permesso in questi anni ai vettori comunitari di utilizzare diversi “Certificati di autorizzazione” (Coa) per operare la stessa rotta. Una situazione divenuta spudorata dopo il de–hubbing di Malpensa da parte di Alitalia nel 2008.
Così Air France ha potuto spostare a Linate circa 100 voli al mese dall’aprile 2010, togliendo ogni collegamento da Malpensa a Parigi dal 2010. E lo stesso hanno potuto fare British Airways, Klm, Air Baltic ed Air Malta.
Linate, come si vede nella tabella qui sotto, ha in questo modo continuato a crescere a discapito di Malpensa, divenendo, afferma lo studio, «il maggior concorrente di Malpensa e il più grande asset competitivo dei vettori stranieri».

p<>. Il problema non è infatti il traffico in sé, ma il fatto che Linate sia usato come una “via di fuga”, e quindi come aeroporto di origine verso altri scali attraverso i quali raggiungere la destinazione finale, depauperando Malpensa in termini di attrattività nei confronti dei vettori internazionali.

I transiti da Malpensa sono quindi finiti per crollare, addirittura superati da quelli a Linate, usato ormai come un mini–hub a medio raggio dai vettori del gruppo SkyTeam.

Il risultato è che l’indice di connettività di area di Milano è precipitato. Se fino al 2007 era superiore a quella di Madrid e sullo stesso livello di Monaco, Istanbul, Roma, Zurigo e Monaco, oggi è separato da questi da una distanza abissale. Anche sommando i valori di Milano e Roma, il risultato è inferiore ai livelli pre de–hubbing, segno che il danno è stato evidente per l’intero sistema Paese.

In altre parole, chi viaggia per affari fuori dall’Europa impiega molto più tempo di prima, nonostante i 20-25 minuti risparmiati per raggiungere Linate rispetto a Malpensa, e le società multinazionali finiscono per prediligere sedi maggiormente raggiungibili dai quattro angoli del globo.

Quali prospettive?
Recentemente la Sea, la società di gestione dei due aeroporti, ha rinnovato i vertici, alla presidenza è arrivato Pietro Modiano (uno dei soci de Linkiesta), e ha messo in congelatore l’ipotesi di atterrare in Piazza Affari, dopo la figuraccia rimediata l’inverno scorso. Troppo ottimistiche le previsioni sui dividendi e sul payout (la parte dell’utile distribuita ai soci) al 70%, superiore al principale scalo tedesco (63%), tra i primi in Europa. Troppo anche per il fondo F2i, secondo azionista al 29,7% dietro al Comune di Milano, che aveva abbassato nei giorni scorsi la cifra ad un più probabile 50 per cento. La litigiosità tra i soci e le inchieste giudiziarie nei confronti del numero uno del fondo F2i, Vito Gamberale, accusato di turbativa d’asta assieme a Mauro Maia, ex amministratore di Sea espresso da F2i, non hanno aiutato a pensare a strategie di lungo termine. Non tutto dipende dalla società: gli aeroporti, in quasi tutto il mondo, sono di proprietà pubblica, così come parte della loro redditività dipende dalle tariffe deliberate dal concessionario, l’Enac.
E sicuramente un’altra difficoltà sta nello sviluppare un hub senza un vettore di riferimento, anzi, con un vettore di riferimento che fa di tutto per portare i voli su Parigi. Su questo aspetto, l’arrivo di Etihad potrebbe portare a un piano di sviluppo diverso, anche se per ora le informazioni sono davvero troppo limitate per dare un giudizio.
Intanto, seppure timidissimi, arrivano dei segnali dalla politica. La Regione Lombardia, con il suo assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità, Maurizio Del Tenno, porterà oggi, 5 settembre, un documento al ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi. Un giorno prima della Conferenza Stato–Regioni che dovrà discutere il Piano aeroporti varato da Corrado Passera sul finire del suo mandato al ministero dello Sviluppo economico. Il documento della Regione Lombardia chiederà un ridimensionamento di Linate, riportandolo alla sua dimensione di city airport attraverso un servizio point–to–point. In pratica, il point–to–point consentirà di fare un solo biglietto, non permettendo più alle compagnie straniere di proporre ed elaborare gli “incroci” tra le varie tratte.
Sarà sufficiente? C’è da dubitarne, visti i risultati degli altri provvedimenti dei governi. Lo stesso annuncio di Passera di trasformare Linate in una navetta Milano–Roma (che avrebbe avuto il pregio di non regalare tutto il traffico ai treni ad alta velocità) è rimasto lettera morta. Come ha scritto Marco Giovanniello su Linkiesta, la soluzione migliore rimane quella di chiudere semplicemente Linate, non fosse altro che per evitare nuovi infiniti problemi con la Commissione europea. Cosa ne pensa il ministro – peraltro milanese – Maurizio Lupi? Di certo un’area ricca e mobile come il nord Italia non può continuare a fruire di una connessione internazionale da paese di serie C, dove per volare da e per il mondo, devi passare da paesi vicini. Ne va della nostra economia, del turismo, del business d’affari e, tra un anno e mezzo, del successo o meno di Expo 2015. Vogliamo continuare a darci la zappa sui piedi?

Grafici